di Valerio Evangelisti
Il presente testo è la versione integrale dell’introduzione di Valerio Evangelisti al romanzo di Alda Teodorani Belve, ed. Addictions, di recentissima pubblicazione. Nel volume l’introduzione risulta mutilata di alcune frasi molto polemiche, soppresse peraltro col consenso del prefatore.
Alla fine è rimasta solo lei. Di tutti gli autori che, nella notissima antologia Gioventù cannibale, si erano accostati al genere horror (perché di horror si trattava, anche se con altre ambizioni), solo Alda Teodorani ha continuato sulla stessa strada senza deflettere nemmeno per un istante. Alcuni degli antologizzati ci hanno provato, ma o si sono rivolti al noir, oppure le loro sorti non sono state brillanti. I più sono tornati ai loro veri campi di scrittura, che avevano abbandonato solo per un attimo. In definitiva, la sopravvissuta è una sola, e solo a lei spetterebbe, a ben vedere, la scomoda e ambigua corona di “cannibale”. Che, giustamente, si guarda bene dal portare: se c’è una cosa che non le interessa, sono le mode letterarie.
E’ curioso notare che, riprendendo in mano Gioventù cannibale, il nome di Alda Teodorani lo si stenta a trovare. In copertina, sugli undici autori dell’antologia ne sono citati nove, “ed altri…”. Idem sul dorso del volume. Lo stesso vale per l’introduzione. Scompare anche Matteo Curtoni, abile tessitore di storie noir. I due “ed altri” li si recupera solo in quarta di copertina, ma lì era d’obbligo citarli.
Viene da chiedersi il perché di questa elisione, non giustificata né dall’ordine alfabetico né dalla fama. Per Matteo Curtoni me lo chiedo ancora. Per Alda Teodorani una risposta me la sono data. In un’antologia che pretendeva di squarciare le barriere del moralismo con l’arma dello splatter, solo lei lo faceva sul serio. Altri autori mettevano in scena con eleganza (e talora con vera bravura) storie che puntavano all’orrore, al disagio, al raccapriccio; Alda Teodorani mirava invece direttamente all’atroce. Infatti tanti di quei racconti non li ricordo più; ricordo invece, truce e impressionante, la scena di un poveraccio a cui viene tagliato lo scroto per estrarne i testicoli. Fino ad allora non avevo mai letto nulla di simile. E la cosa era raccontata con naturalezza, nel contesto di un racconto bello e ben scritto. Forse stava qui lo scandalo. Anche senza forse.
Da allora Alda Teodorani ha continuato sulla stessa via, del resto intrapresa molto prima che Gioventù cannibale fosse concepita. Una via difficile, irta di ostacoli, di cattiverie ai suoi danni (tipo l’assurda leggenda metropolitana che la voleva vicina all’estrema destra: falso e ridicolo), di boicottaggi occulti o palesi. E’ uscita in questi giorni da Mondadori un’antologia horror che si vuole esaustiva, e rappresentativa delle nuove tendenze nel genere. Alda Teodorani non vi figura, neanche tra gli “ed altri”. Non si è nemmeno pensato di interpellarla. Perché? Scrive forse peggio dei chiamati all’appello? Non direi proprio; anzi. E’ difficile da classificare? Alcuni di coloro che hanno contribuito probabilmente non scriveranno altri racconti horror in vita loro, come non ne avevano scritti prima.
Chiedo scusa al lettore, ma mi piace parlar chiaro. Un’antologia dell’horror italiano che non comprenda Alda Teodorani è un’antologia di merda. Al di là del valore — spesso indubbio — degli autori e dei racconti che vi figurano.
Chiuso l’inciso. Parlavo di coerenza, e le opere che si sono susseguite nell’arco ormai di un decennio (da Giù nel delirio a Organi, fino a questo Belve apparso in Francia prima che in Italia) la hanno ampiamente dimostrata. Ma hanno dimostrato anche qualcosa di più: l’esistenza di una vera e propria poetica. Relativamente ardua da cogliere per gli impressionabili e per coloro che, accecati da persistenti polveri accademiche, classificano i testi a seconda dell’oggetto trattato, e vincolano a quest’ultimo anche il giudizio stilistico; però evidente per chi, gli occhi bene aperti sul presente e dotato di uno sguardo meno miope sul passato, sa che la letteratura (come il cinema, come la musica) non sopporta distinzione fra temi nobili e temi vili. Salvo espellerne Sade e l’Aretino, Ellroy e Tozzi, due terzi di Balzac e tutto Dumas.
Alda Teodorani ha una costante narrativa, che (qui stupirò molti) è quella della femminilità. Lo stupore da me ipotizzato nasce dal fatto che non è abituale accostare a una donna, e al suo essere donna, tematiche crude e violente. L’horror, quando non è quello patinato di Ann Rice, viene normalmente considerato passione tutta maschile (si notino gli autori dell’antologia mondadoriana a cui ho alluso), come fino a pochi anni fa si credeva per la pornografia.
C’è qualcosa di vero, in questo pregiudizio, ma riguarda essenzialmente i fruitori. Nelle nostre società, anche in quelle più permissive, le donne vengono indirizzate (per non dire costrette) fin dall’infanzia ad altro genere di letture, che non turbi il loro destino di mamme amorevoli. Emmanuelle Arsan e Pauline Réage, nel campo della pornografia, hanno forse indotto molte lettrici a congetturare una sorte diversa, però il grosso dei loro lettori è rimasto, per anni, composto principalmente da maschi (ulteriormente eccitati dal fatto che fossero donne a scrivere “quelle cose”). Nell’ambito non così lontano dell’horror, solo le opere scritte in chiave molto romantica (a partire da Mary Shelley e da Ann Radcliff) hanno trovato e trovano una fruizione femminile. Resta invece terreno proibito per chi non sia uomo (e, anche in questo caso, si tratta di una minoranza) un horror realistico e crudo, ambientato non nella penombra delle cripte, ma sotto le luci al neon degli appartamenti popolari o tra i fari delle macchine in un parcheggio.
Quest’ultimo è invece l’ambito in cui le storie crudissime, feroci, atroci di Alda Teodorani trovano spazio, con una continuità intellettuale implacabile che si estende a questo Belve, per quanto ambientato nel futuro. Sesso e sangue sono le costanti predilette dall’autrice; non separati, non articolati in momenti diversi, bensì commisti. Sarebbe troppo facile, anche se si tratta di un passaggio logico obbligato, cogliere in questo la sostanza femminile della narrativa di Alda Teodorani (è chiaro come in una donna sesso e sangue siano biologicamente uniti). In realtà la si coglie nelle donne che mette in scena.
Molto spesso vittime, preda di coltelli che giocano con le loro carni, descritte appena nelle reazioni (tante volte il narratore è l’assassino maschio che narra la propria esperienza: si veda il magistrale racconto Specchi di sangue, compreso nell’antologia Le radici del male), esse non perdono nemmeno per un istante la loro consistenza umana. Quelle che sono semplici giocattoli in autori splatter di talento come Skipp e Spector o Rex Gordon, in Alda Teodorani sono proprio vittime, dotate di una loro dolente dignità anche quando si abbattono colando sangue e sperma.
Manca il giudizio morale su ciò che accade, ma sarebbe fuori luogo e toglierebbe efficacia al racconto. Manca anche un elemento tipico dell’horror corrente, e cioè il soprannaturale. Sono le lame a farla da padrone e a generare l’orrore: tagliano, penetrano, scavano vagine supplementari, fanno di una persona un corpo. E’ un rapporto tra corpi che alla fine si instaura, perché anche l’assassino diventa tale. Ma il suo è, se vogliamo, un corpo secondario. E’ invece il corpo femminile che, nel momento dell’umiliazione massima, emerge come sorprendente protagonista. Con un ruolo diverso da quello che gli è imposto dalla cultura, però in sintonia con correnti segrete della natura, e capace di testimoniarlo persino con la morte. Di fronte a ciò, il corpo dell’assassino è ben misera cosa.
Si dice (e credo che sia vero) che un autore di libri che spaventano metta anzitutto in scena le paure proprie. Non provo nemmeno a interrogarmi su quali timori turbino Alda Teodorani e la spingano a scrivere libri che si concatenano l’uno all’altro con fluidità così rigorosa. Un mio sospetto ce l’ho, e attiene a patologie tutte maschili, che gli interessati faticano a riconoscere. Però non voglio arrischiarmi in un’interpretazione troppo azzardata.
Dico solo che su Alda Teodorani gravano una condanna e una speranza. La condanna è che il fatto che una donna tocchi corde tanto proibite continuerà a lungo a non esserle perdonato (nel suo caso, persino la bellezza diventa un handicap e un incitamento all’aggressione). La speranza è che un domani, quando si indagherà su chi in Italia, nei nostri anni, scriveva horror dotati di tutti i crismi dell’intelligenza e della dignità letteraria, il suo nome sarà il primo a salire alle labbra.
Lo pseudonimo “ed altri…” finirà con lo scomparire, ne sono convinto, come tanti ulteriori sintomi della mediocrità corrente.
Il sito ufficiale di Alda Teodorani: http://aldateodorani.supereva.it/