di Daniela Bandini

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Un romanzo di una leggerezza straordinaria, un giallo d’altri tempi. Si potrebbe definire così, per sintetizzare, questo splendido romanzo di Qiu Xiaolong, ambientato nella Shangai contemporanea, nel quale lo sfondo di un delitto passionale mette in luce una realtà complessa di vocazioni e di poteri, di conflitti tra opportunità e giustizia. Brevemente, si racconta di come il corpo di una lavoratrice modello giovane e nubile venga ritrovato in un canale fuorimano della città, e dell’inchiesta affidata all’ispettore capo Chen, comandante della squadra casi specili, divisione omicidi. Il giallo in sé si risolverebbe praticamente subito: la pista iniziale sarà quella che condurrà fedelmente alla soluzione. Se non fosse che lo scioglimento non sarà quello atteso, che l’amarezza, così intrisa di poesia nel romanzo, non ci farà gioire per l’epilogo del caso. L’omicida sembra in realtà il nuovo capitalismo rampante, o almeno la sua effigie peggiore.

Il romanzo è il ritratto di una Cina moderna, colta nel suo conflitto tra vecchia burocrazia carica di privilegi sempre meno tollerati e un capitalismo arrogante e spietato, gestito maldestramente da nuovi ricchi e vecchi anacronismi. Lo scenario incantevole e suggestivo di una sala da tè con menù raffinatissimi si contrappone a non meno affascinanti poveri mercati, con le loro cianfrusaglie e le loro variopinte classificazioni umane.
Si parla molto di cucina, in questo romanzo, quasi un trattato di autentica gastronomia orientale, dalla più ricercata fino alla povera cucina di strada coi suoi ravioli al vapore. La Cina non conosce tabù di carattere alimentare, e cibi che ci farebbero forse rabbrividire (come serpenti ancora vivi in gabbia, che il cliente sceglie prima che siano bolliti; la specialità dello chef, la battaglia tigre-dragone, fatta di carne assortita di gatto e serpente; oppure una intera tartaruga accompagnata da una salsa scura, ecc.) sono invece parte integrante di una cultura profonda e spirituale, lontana da ogni folklore.
In questo straordinario contesto si contrappone la villa lussuosa del figlio di un dirigente di Partito alla misera stanza che serve di abitazione (di soli 11 mq.) a un’operaia con prole; condizione, quest’ultima, largamente condivisa da tutta la classe povera, ammassata in edifici in cui bagno e cucina sono comuni a tutto il caseggiato. Eppure sarà in questi ambienti minuscoli e asfittici che il nostro ispettore ritroverà quella purezza e quella convinzione di “fare la cosa giusta” di cui ha disperatamente bisogno per credere ancora nel suo stesso mestiere.
In un paese dove la propria compagna deve necessariamente essere all’altezza della posizione sociale dell’uomo, l’ispettore capo Chen non fa distinzioni tra giornaliste o prostitute; anzi, tratterà queste ultime con una grazia e un rispetto davvero insoliti, e forse con il senso di colpa di chi appartiene comunque a un sistema che deve difendere nella sua globalità. Un mestiere che svolge con tanta poesia, con tanto idealismo, poco ideologico ma molto umano.
Poesia, dicevo: tanta. Poesie che l’ispettore capo Chen scrive e ama recitare, in un sottofondo commovente, a volte quasi irritante nella sua apparente ingenuità. Non ci sono volgarità in questo romanzo, non c’è nessunissima ostentazione o compiacimento di violenza. Il delitto è lo sfondo di un conflitto politico-culturale, e soprattutto economico, in una Cina che cambia, con persone che di mestiere fanno i “centralinisti” nelle cabine pubbliche (il telefono in casa è un privilegio che si ottiene a carissimo prezzo, per merito o corruzione), e di elegantissime cameriere-entraineuses presso alberghi da favola, che in un solo giorno guadagnano il salario di tre mesi di un’operaio.
In questo squilibrio sociale complessivo il delitto assume tutta la sua valenza simbolica. Come servire degnamente la causa quando essa è così pregna di aberranti contraddizioni? Con la semplicità, o per meglio dire con la grandezza di questo ispettore molto Maigret, che ama il suo paese visceralmente e ne conosce le debolezze e la forza, mentre si impegna nell’esercizio limpido di un mestiere contemplato, un poco alla maniera zen, al tempo stesso con estraneità e passione.