In Italia sono è stato tradotto soltanto un libro di Alasdair Gray, il paraottocentesco Poor things (Poveracci!, presso Marcos y Marcos), passato inosservato anche perché si trattava del titolo che meno rendeva giustizia all’unico autenticamente immenso autore scozzese. Il pool di In forma di parole, guidato dall’onnipresente (in senso temporale: fa la cultura italiana da quarant’anni a questa parte) Gianni Scalia, nel ’93, propose un pazzesco racconto di questo autore abrasivo e caleidoscopico. Tutto qui. Pochi lettori nostrani, quindi, comprenderebbero l’assegnazione del Nobel per la letteratura ad Alasdair Gray: conferimento plausibile e di cui, nei fatti, i ben informati che ruotano intorno al ring dell’Accademia di Stoccolma parlano da anni. Formulo quindi un pressante invito a tutti gli editori e a tutti i consulenti: fate in modo che esca in lingua italiana Lanark: A Life in Four Books, opus magnum di Alasdair Gray. E’ un libro che per potenza immaginifica, stilistica, emblematica e per statuto di generi (li supera tutti contemporaneamente) è a tutti gli effetti il Gravity’s Rainbow europeo.
Siccome da giorni me la menano che ho rotto le palle con i miei fuochi di Sant’Antonio da eccessivo e superficiale entusiasmo (scusate la china depressiva…), prima di dire cosa penso di Lanark cito alcune menti prestigiose che, sul capolavoro di Alasdair Gray, hanno speso parole ben più credibili delle mie. Comincio con Iain Banks: “Lanark mi ha messo letteralmente ko. Credo sia il capolavoro assoluto della letteratura scozzese del Novecento”. Passiamo ad Anthony Burgess: “Era ora che la letteratura scozzese producesse il suo capolavoro della modernità. Eccolo: è Lanark“. Quindi David Lodge: “Alasdair Gray è una specie rara nella letteratura anglosassone – un autentico sperimentalista, che ha trasgredito a ogni norma tradiziole della prosa, in un delirio conturbante”. Ultima citazione, dalla New York Times Book Review: “Questa è la Divina Commedia del cripto-calvinismo anglosassone e va letta assolutamente”.
Adesso che ho le pezze d’appoggio, posso aprire le chiuse del mio entusiasmo e affermare che, se esiste davvero nel nostro tempo qualcosa di simile alla Divina Commedia – che erediti, quindi, la funzione di snodo epico che trasforma la Scrittura Sacra in Scrittura Laica – a mio personalissimo parere soltanto due testi raggiungono questo statuto: e sono Gravity’s Rainbow di Thomas Pynchon e Lanark di Alasdair Gray. Per quanto in ogni tempo sia possibile misurare – seppure transitoriamente – qualunque opera letteraria sulla scala dell’ambizione metafisica, raramente ci si trova di fronte a testi febbrilmente riassuntivi di un’intera civiltà. Si potrà poi discutere sul riconoscimento popolare che, in Epoca Laica, riscuotono tali opere mondo: davvero c’è ancora molto da fare affinché si capisca che il corpus di Victor Hugo è davvero questo corpo di gloria, e che Pynchon invera esattamente quella resurrezione. Nessuno, nemmeno Joyce o Beckett, hanno portato la rivoluzione imposta dal conflitto tra determinismo e indeterminismo a un grado di poetica totale come hanno fatto Pynchon e Gray. Bisogna ribadire il più possibile che la svolta novecentesca è questa: Heisenberg, per quanto sembri un nome astratto che partorisce un teorema astratto, e Godel hanno davvero stravolto la percezione del mondo. Che poi si faccia finta di non accorgersi che quello è lo slittamento fondamentale che definisce in senso profondamente fisico (quindi: metafisico) la posizione non più dell’uomo nel cosmo, ma addirittura del cosmo nel cosmo – beh, questa è una contingenza, che magari durerà ancora un secolo: ma è una contingenza. Come Omero Eschilo e Pindaro, in una vorticosa riassunzione del magnetismo di un mondo, comprimono l’epoca greca in una poetica; come Dante e Shakespeare definiscono in pieno la ciclicità del premoderno, pressando più secoli di umanità nella loro scrittura; come Hugo realizza il panopticon della modernità, declinando la scienza secondo le categorie della sapienzialità ermetica e fornendo un compendio totale di tre secoli – così Pynchon, con Gravity’s Rainbow, realizza il teatro totale della contemporaneità, superando addirittura il nostro presente e anticipando il nostro futuro (esattamente come avevano fatto i suoi omologhi): dalla fisica quantistica (con tutti i suoi corollari: il miraggio della teoria dell’unificazione e i rapporti con la relatività, l’ideologia comportamentista come paradosso deterministico in epoca indeterminista) alla sintesi del neoumanesimo, passando attraverso i costumi di un’epoca diffranta (dall’artificilità della nuova sessualità all’impazzimento sociologico della nuova comunità), gli snodi che articolano il lavoro di Pynchon toccano le profondità di una specie in divenire, in metamorfosi inesausta. E, con esiti certo non altrettanto assoluti, anche il lavoro di Alaisdair Gray colleziona totalità.
Per sommi capi, ecco cos’è Lanark. E’ impossibile, in pratica, ricostruire la trama. Se in un’opera costituita di quattro libri, l’incipit è il terzo libro, allora capirete l’imbarazzo dello scrivente. E’ certo che Lanark è l’eponimo del personaggio che, in maniera grossolana e irregolare, possiamo definire centrale, la cui “vita” (o ultravita o emivita – è indifferente) seguiamo e anticipiamo nello svolgimento delirante della struttura data al romanzo da Gray. Lanark vive a Unthank, città grigissima (“most gray”: la più Gray di tutte), in un tempo fuori del tempo: metropoli tentacolare in cui le persone scompaiono davanti agli occhi di un allibito Lanark, il quale non si ricorda chi è e perché è lì e che luogo è quello e, soprattutto, nella memorabile scena iniziale, chi siano i tizi con cui sta cazzeggiando al bar da Guerre Stellari in cui si trova. Lanark ha quel nome non avendolo: non sa come si chiama, mutua da un segnale stradale l’identità. Tutti soffrono di malattie neurologicamente simboliche. Digressione spettacolare sui disordini di Lanark: è una dissertazione di “fisica sottile” alla Wilhelm Reich. Tutti svaniscono. Colpo di scena: svanisce anche Lanark: suicidandosi. Fine? No. Lanark si ritrova, nel dissesto causato dal sisma della trama, in un Istituto di Cura: si cura lì la sindrome allegorica che affligge il temporaneo protagonista del libro. Mentre Gray fa esplodere profezie su alimentazione e radianza energetica che, alla luce dello stato attuale del pianeta, appaiono clamorosamente esatte e tuttora da esplorare, si trapassa a una sorta di precedente incarnazione di Lanark, col nome di Duncan Thaw: centro di una sottoepica però centralissima, raccontata secondo la retorica della prosopopea. E qui è impossibile proseguire: le trame divergono, si intrecciano, secondo una sintassi a stringhe che, con tutta evidenza, ha una significazione di mimesi cosmogonica.
Le implicazioni politiche del lavoro di Alasdair Gray sono formidabili. Come è chiaro, Lanark è l’Anarchico e l’Anarca: uomo in rapporto frontale col Leviatano del Potere, in cerca di un abbraccio comunitario nel cui seno si è aperta una frattura (o si è sovrapposta una lastra impenetrabile e vitrea) che ne sancisce l’impossibilità. La lotta della letteratura tutta (mobilitata da Gray con una generosità che lascia inorriditi: Lanark è un compendio dell’immaginazione umana da Gilgamesh all’America di Kafka…) è quindi un conflitto che non finirà di esasperare e di glorificare l’uomo stesso, ingaggiandolo in uno scontro con l’Istituzione che dura quanto la storia. L’Istituzione, che per Gray è a priori neutra e votata al bene comune, si autoperverte e si vota alla produzione del male comune. La dialettica individuo/comunità trova un plafone solido nella dialettica umanità/istituzione, ben presto tradotta nello scontro umanità/disumanità. E questa è soltanto una delle piste decifrabili del labirinto letterario e sapienziale che Alasdair Gray ha pubblicato nell’81.
Ha detto l’autore scozzese: “Il nostro tempo è un tempo apocalittico, come ogni tempo del resto. Il tempo di Lanark è un tempo apocalittico a cui viene coniugata la speranza senza fine che l’uomo nutre nei confronti dell’uomo: esprimersi nel caos di sé senza sottrarsi alla sua tragedia e alle sue commedie”. E’ ciò che la letteratura ha sempre fatto e sempre farà e sta facendo anche nel nostro presente.
Alasdair Gray – Lanark – A life in four books – Canongate – 16$