di Giuseppe Genna
Mai titolo fu meglio scelto: a Toni Negri, storicamente, piacerebbe fare da guida e moltiplicare le guide rispetto a una comunità che, via via, può chiamarsi popolo, massa, moltitudine – a seconda degli approcci di chi Negri lo legge e lo apprezza. Io sono tra coloro che lo apprezzano. Vorrei però evitare di toccare il tema più filosofico della filosofia di Negri: cioè l’innervamento della sua prospettiva nel reale. Vorrei rimanere sul piano della valutazione dell’analisi che Negri compie in queste Guide, postlegomeni necessari al suo straordinario Impero (Rizzoli). Non concordo con le derive politicamente più coerenti del suo lavoro teorico: ravvedo all’orizzonte uno scatenamento di forza dal basso che non mi trova concorde. Per dirla tutta: non sono un disubbediente alla Casarini – però si tratta di una prospettiva personale, parecchio strutturata, e non è qui il caso accennarne. Vorrei invece dire questo: la filosofia italiana tutta, da decenni, è Toni Negri. Il contributo dato al Novecento e a questo inizio di secolo da Toni Negri resterà quale sviluppo fondamentale alla filosofia. Queste Guide, non innovatrici rispetto al discorso di Impero, testimoniano che Negri è al momento uno dei più alti filosofi del nostro tempo.
Prima di discutere la rilevanza della prospettiva di Negri, la struttura del libro. Si articola in questo modo: una premessa esplicativa fondamentale (non solo per la comprensione delle tesi: è fondamentale da leggere oggi); un dialogo, già apparso in Reset, con Danilo Zolo; cinque lezioni che attraversano le tematiche della metodologia filosofica e politica, della dialettica tra globalizzazione e democrazia, del concetto (espressione non cara a Negri) di moltitudine (espressione cara a Negri), dei soggetti in gioco nel grande momento storico che stiamo vivendo (con indispensabile e ambiguissima apertura sulla domanda centrale che connette teoria e prassi della rivoluzione: che fare?), e, infine, della prospettiva di un marxismo fuoriuscito dai canoni più tradizionalmente acclarati sul piano dell’interpretazione filosofica.
La prospettiva di Toni Negri è riguardabile da una miriade di punti di vista. Dal punto di vista dell’analisi, Negri (non voglio considerare gli apporti di Hardt se non come estensioni di ciò che pensa Negri) schiera una moltitudine teoretica: una sorta di sterminata adunanza di riferimenti e scorci, puntate d’avanguardia e apici che permettono panoplie straordinarie (sia sul movimento del pianeta umano contemporaneo sia sulla tradizione filosofica), strategie che figliano tattiche (due livelli senza i quali sarebbe improprio affrontare questo discorso). Morale: per discutere seriamente e rigorosamente con Toni Negri servirebbe un’altra sede, parecchi anni, due contropalle filosofiche enormi e una competenza extraumanistica piuttosto ampia. Qui posso soltanto affrontare, e non rigorosamente, un paio di impostazioni di base che mi sembrano implicite nelle Guide – come già mi sembravano implicite in Impero.
La prima impostazione è una mossa straordinaria (parlerebbero, alcuni filosofi, di nuova soglia del pensiero). Per dirla rozzamente: Negri mette fuori gioco, trattando del rapporto tra globalizzazione sovranità e democrazia, tutte le posizioni tradizionali, siano di sinistra, socialdemocratiche, liberiste o di destra reazionaria. Questa mossa teorica (e, sospettiamo, estremamente pratica: è la più acuta analisi di quanto sta succedendo nel mondo dal ’91 a oggi) è capace di liquidare contemporaneamente John Rawls e Jurgen Habermas (un ringraziamento franco a Toni Negri: speravamo che qualcuno riuscisse a fare piazza pulita dell’immondizia politica prodotta da questi due stronzi filosofici). Ecco come Negri giunge a questo risultato, che costituisce la premessa necessaria e l’apertura del suo lavoro. Negri riprende una schematizzazione straordinaria di Impero: divide per quattro le posizioni sui rapporti tra globalizzazione e democrazia. Individua cioè quattro tendenze: la posizione socialdemocratica classica (un ottimismo globalista che considera la necessità di una resistenza dello Stato-nazione); la posizione di sinistra, liberale e umanistica (Ulrich Beck è uno dei richiami centrali: il villaggio globale come orizzonte della democrazia estesa, la differenza nell’unità); la posizione liberista o “della democrazia capitalista” (l’ottimismo globalizzatore nella sua versione di destra: il mercato autonomo con tutti i suoi corollari); e la posizione della destra tradizionalista (un pessimismo che ravvede la cancellazione delle differenze mercé l’imposizione del globalismo). E’ questo, e lo è davvero, lo schema cognitivo ed emotivo di base di tutto il dibattito sull’ideologia vuota della globalizzazione. Negri trascende questa croce e sposta la questione su un piano fondamentale: ravvede il limite di queste quattro posizioni nel fatto che assumono i destini della democrazia quali esiti rispetto al processo di globalizzazione; richiama la necessità di considerare la globalizzazione da un punto di vista interno, delle dinamiche intestine che si producono in questo movimento; e qui piazza il suo colpo filosofico e politico. Un colpo potentissimo: le dinamiche di dialettica tra globalizzazione e democrazia, tutte interne al farsi della storia umana degli ultimi decenni, sono da interpretarsi secondo le categorie del rapporto di capitale. Negri è il profeta di un nuovo marxismo: che definire postmoderno sarebbe un insulto teorico, ma in questa sede può rendere l’idea. La lotta come elemento costituente della storia, al di fuori di ogni scientificità del movimento dialettico à la Marx, è il momento di perno di ogni accadimento: e si tratta di una lotta di classe (ola del Genna).
Vediamo, quindi, quale marxismo. Questo: un marxianesimo. Un metamarxismo (così come esiste una fisica e una metafisica, anche se Negri non apprezzerebbe il parallelo). Per quanto sia totalmente distante dai giochini di parole in termini paraermeneutici, qua utilizzo un vecchio escamotage retorico per riassumere. Non è marxismo allo stato puro, quello teorizzato da Negri. Che, infatti, parla di un “Marx oltre Marx” dal punto di vista metodico. Mi dispiace davvero stuprare il complesso, eccezionale lavoro ideologico di Toni Negri, ma per limiti di tempo e rigore tento di spiegare con un esempio dello stesso Negri che cosa si intenda per ultramarxismo, citando soltanto un passo del suo lavoro, in senso emblematico e non discutendo la costituzione del metodo ultramarxista, bensì partendo dalle conseguenze che questa nuova prospettiva comporta: “La prima conseguenza riguarda la legge del valore. Essa, come noto e come abbiamo ripetuto fino alla noia, non può più essere mantenuta nella forma nella quale da Smith a Ricardo a Marx ci è stata trasmessa. L’unità temporale del lavoro come misura di base della valorizzazione è ormai un non senso. Ciò detto, il lavoro resta comunque l’elemento fondamentale ed esclusivo della valorizzazione“. Basti pensare ad alcune immediate ricollocazioni, che sono davvero concretissime, attualissime, storia di questi giorni per chi fosse legato alla pura e semplice attività: la smaterializzazione del lavoro e/o il passaggio da fordismo a postfordismo; la questione della proprietà intellettuale; il crollo della prospettiva economicista, con tutte le conseguenze di decostruzione della finanziarizzazione; la prospettiva geopolitica che rompe completamente il prossimo venturo duopolio Cina-Usa in base alla bomba costituita dal demos; il regno dei rapporti umani sovrastrutturali che muta geneticamente.
Gravida di conseguenze che sono esattamente i neonati che dobbiamo proteggere dai bombardamenti, la prospettiva di Toni Negri avanza proposte, tesi, rivoluzioni istantanee della mente. Essa stessa, tuttavia, superata dal fenotipo dei Movimenti, che non si stanno esattamente configurando come soggetto inscrivibile soltanto nel discorso di Negri. Il quale, con Impero e Guide, pone fine al regime di un “pensiero molle” e ribalta completamente il territorio filosofico sul quale ci siamo aggirati per decenni criminali.
Antonio Negri – Guide – Raffaello Cortina – 14,50 euro