ROMA, 14 aprile (Reuters) – Finiti i tempi degli imitatori nostrani di Agatha Christie, o degli emuli delle detective’s story americane, il noir all’italiana vive da qualche anno, anche all’estero, una fortunata stagione editoriale. Eppure, nonostante il successo di Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli o Giorgio Faletti, malgrado la moltiplicazione di autori e titoli, secondo un esperto del settore il genere è in crisi di creatività, non molto attento all’attualità e ai fenomeni sociali, troppo ispirato a modelli letterari, più che dalla realtà. Anche se una salutare scossa potrebbe venire dal “trauma” del G8, dai giorni di proteste noglobal e di violenza che nell’estate del 2001 accompagnarono il vertice di Genova dei Sette paesi più industrializzati del mondo e della Russia, e che hanno lasciato dietro di loro una scia di polemiche, dubbi sull’operato delle forze dell’ordine e inchieste giudiziarie ancora in corso.
“Da qualche anno a questa parte a quella che in Italia viene vissuta come la stagione più felice dal punto di vista delle vendite, corrisponde a un periodo di mancanza creativa – dice a Reuters Luigi Bernardi, 50 anni, che da alcuni anni cura la collana “Stile Libero Noir” di Einaudi insieme a Lucarelli, uno dei più prolifici e noti autori italiani di noir.
“A parte alcuni autori che si guardano attorno, che sanno raccontare una criminalità plausibile, tutto il resto è una rimasticatura del genere – dice Bernardi, che è anche traduttore, critico letterario, giornalista e scrittore (ultimo libro, uscito proprio in questi giorni: Vittima facile , presso editrice Zona). “Abbiamo tantissimi tardo-finti commissari Maigret, poliziotti stanchi e disillusi, che riflettono una stanchezza del vivere e della giustizia, che conducono indagini vecchie”.
Anche nei manoscritti degli aspiranti autori che Bernardi legge in abbondanza, c’è “poco sangue, ci sono pochi sapori, pochi odori, pochi cervelli che pensano”.
L’esplosione del noir in Italia risale ai primi anni 90, grazie soprattutto a Lucarelli (ultimo libro: Misteri d’Italia. I casi di ‘Blu Notte’, Einaudi), da tempo approdato anche in tv con le sue trasmissioni sui misteri italiani.
A differenza del giallo “classico” nel noir non è così importante scoprire chi è l’assassino, ma contano di più l’atmosfera, le dinamiche sociali, i caratteri dei protagonisti.
E come nel caso della Francia, dove il noir si è imposto ormai da decenni, anche in Italia i “noiristi” sono spesso gente di sinistra, e nei loro scritti c’è una parte di critica sociale, si percepisce un sentimento di opposizione.
GENERAZIONE NOIR
“Si tratta di nuovi scrittori vogliono raccontare il loro paese, i misteri, quello che accade, un certo punto di vista non ufficiale, con un certo taglio sociale. C’è un’impronta fortemente sociale, poi declinata in vari modi”, spiega a Reuters Sandrone Dazieri, 39 anni, direttore editoriale della celebre collana “Il Giallo Mondadori” e “noirista” lui stesso (Gorilla Blues, Mondadori) .
“C’è chi è più letterario, come Marcello Fois (L’altro mondo, Frassinelli), chi sa perfettamente come funziona la polizia, come Lucarelli, chi è un inventore di ballate metropolitane giocate sul calembour come Andrea Pinketts (Nonostante Clizia, Mondadori), chi parla di criminalità come Massimo Carlotto (Il maestro di Nodi, Edizioni E/o) chi viene dai centri sociali, come me”.
E tra gli “avanguardisti” del noir, Dazieri indica Loriano Macchiavelli (I sotterranei di Bologna, Mondadori), creatore del celebre brigadiere Sarti Antonio, “un prototipo di poliziotto inserito in una realtà urbana, credibile”.
Ma la consacrazione del giallo-noir italiano come fenomeno da best seller si deve ad Andrea Camilleri (Il giro di boa, Sellerio), con le sue avventure del commissario siciliano Salvo Montalbano, che ottengono a ogni nuovo volume un record di vendite, e che sono diventate un serial tv di successo.
Eppure, per Luigi Bernardi, la grande produzione di noir di questi ultimi anni, con il moltiplicarsi di collane dedicate al genere e di un’attenzione enormemente cresciuta da parte dei media, non deve trarre in inganno: “Se arrivasse un marziano e cercasse di capire l’Italia attraverso i gialli, penserebbe che questo è un paese di serial killer, di gente che ammazza per l’eredità… A parte Dazieri, o Carlotto, nessuno parla di albanesi, di mafie diverse da quella classica, che comunque è cambiata anch’essa”.
“IO UCCIDO”? TROPPO AMERICANO
Un esempio in negativo? Bernardi non ha dubbi, è quel Io uccido (edito da Baldini&Castoldi) dell’attore e cantante Giorgio Faletti che è da mesi e mesi ai primi posti delle classifiche dei libri più venduti.
Una trama piuttosto classica, e ispirata alla tradizione del thriller americano, quella del volume di Faletti: un dj di Radio Monte Carlo è minacciato da un misterioso serial killer, in una spirale di colpi di scena e omicidi su cui indaga un agente dell’Fbi in congedo.
“Non riesco a spiegarmi come il romanzo di Faletti abbia venduto tanto – dice Bernardi – Ha scritto un romanzo mediocre che avremmo rimproverato a uno scrittore medio americano”.
Dello stesso avviso anche Dazieri: “Un romanzo a grandissima diffusione, e costruito bene, dal punto di vista della presa sul pubblico. Ma è un libro che riporta il giallo italiano alla sudditanza verso il genere americano… si ripropone come l’imitazione dell’America”.
D’altronde, per l’inventore del “Gorilla”, “c’è una grandissima parte del pubblico a cui non frega niente del discorso sociale o politico del giallo: vuole il divertimento puro, il serial killer”.
A differenza di Bernardi, Dazieri è però meno categorico sulla “crisi” del noir italiano: “Il problema non è la crisi del noir… Il punto, invece, è che noi andiamo a occupare un microscopico spazio lasciato libero dagli scrittori di letteratura ‘bianca’, o di letteratura propriamente detta, che dagli anni 70 hanno smesso di parlare dell’oggi. Anche quelli più impegnati. La maggior parte si guarda l’ombelico… E’ più interessante il proprio intimo, il proprio diario, il proprio amore”.
Insomma, “c’è una morte del presente nella letteratura italiana… Gli unici che ne parlano sono gli autori del noir. E se parli di albanesi o di G8, non puoi certo pensare di vendere 300.000 copie”, conclude Dazieri.
“IL GIRO DI BOA” DEL G8
Ma è proprio la vicenda del G8 a convincere Serge Quadruppani, uno scrittore francese da noi noto soprattutto per essere il traduttore in Francia di Andrea Camilleri, che il rapporto tra noir italiano e realtà non è affatto in crisi: “Ci sono tre romanzi recenti che parlano di G8, quello di Dazieri, quello di Carlotto, l’ultimo di Camilleri. E’ una coincidenza che mi ha colpito molto, quello è stato un trauma importante per l’Italia”, dice Quadruppani, 51 anni, a Reuters.
Per Quadruppani – la cui traduzione de L’odore della notte di Camilleri è appena uscita in Francia col titolo L’odeur de la nuit per Fleuve Noir – quella del noir italiano “non è più soltanto una crescita, è una vera e propria affermazione. Fino a 10 anni fa, il campo era scarso”.
E in Francia, come sono accolti i nostri scrittori di noir? “Camilleri ha sfondato, alcuni vanno abbastanza bene, come Dazieri o Fois. Ma è ancora presto per parlare di fenomeno editoriale”.
Ma per l’autore di L’assassina di Belleville (Mondadori), l’importante è che l’Italia stia uscendo da “questo atteggiamento provinciale, per il quale si pensa che la letteratura di genere, il noir, non sia letteratura… Eppure (Carlo Emilio) Gadda, o (Leonardo) Sciascia, hanno scritto gialli. Per (Daniel) Pennac è lo stesso, ha cominciato scrivendo noir”.
“Mi ricordo che quando in Italia dicevo di essere uno scrittore, mi guardavano con ammirazione – dice Quadruppani – Poi, quando spiegavo che scrivevo gialli, vedevo comparire un mezzo sorriso sulla bocca dei miei interlocutori… ora però è diverso, penso che ci sia un fenomeno di cambiamento culturale, di apertura, contro la rigidità accademica che regnava prima”.