di Valerio Evangelisti
Certo, dispiace un poco criticare (benevolmente, sia chiaro: come fa Striscia la notizia con Alda D’Eusanio) un intellettuale del livello di Magdi Allam. Dispiace perché si tratta di un perseguitato politico, ricercato da poteri forti e temibili. Lo narra lui stesso nella prefazione al suo libro davvero imperdibile, Saddam, storia segreta di un dittatore, alle pagine 4 e 5. E’ il 1990, e Allam fa uscire su La Repubblica un suo pezzo contro Saddam Hussein. Ciò che accade dopo è drammatico. Anzitutto il giornale riceve un fax minatorio con l’intestazione dell’ambasciata irachena. Non è firmato, e ciò significa, secondo Allam, che chi lo invia è lo stesso governo dell’Iraq. E’ l’inizio di una crisi di portata, se non mondiale, quanto meno regionale.
Infatti, subito dopo il fax anonimo, l’ambasciata dell’Iraq convoca tutti gli ambasciatori a Roma dei paesi della Lega Araba per discutere il caso Magdi Allam. Miracolo, tutti quei diplomatici si affrettano ad abbandonare inutili incartamenti sui conflitti in corso e sulle guerre imminenti per accorrere all’ambasciata irachena. Ma miracolo ancora maggiore è che la centralità palese dell’emergenza Allam provochi l’immediato superamento dei dissidi all’interno della Lega Araba. Sauditi e palestinesi, libici e kuwaitiani, siriani e libanesi, per una volta uniti, pendono dalle labbra dell’ambasciatore dell’Iraq ed emettono la sentenza: Magdi Allam sarà d’ora in poi boicottato in ogni paese arabo. O almeno così lui racconta. Non vedo motivo per non credergli.
E’ evidente come, scoppiata l’attuale guerra anglo-americana contro l’Iraq, La Repubblica invii da quelle parti (per la precisione in Kuwait) il giornalista che tredici anni prima, con un solo articolo, fu capace di suscitare reazioni più isteriche che Emile Zola col suo J’accuse. Ottima scelta. Come ho già scritto nella prima parte di questo articolo, Allam è l’unico che si sa districare tra la folla dei sosia di Saddam Hussein: ormai li distingue a fiuto l’uno dall’altro. Inoltre, possiede notizie che nessun altro ha, in nessuna parte del mondo.
Lasciamo perdere l’incidente del 22 marzo (le date che indico d’ora in poi riguardano i numeri de La Repubblica), quando Allam annuncia la resa dell’intera 51^ divisione dell’esercito iracheno a Bassora, generale in testa. Si tratta di una bufala diffusa dal comando alleato, e largamente ripresa da tutta la stampa. E’ ben vero che Allam, avvezzo alla fisionomica lombrosiana, descrive l’ “atteggiamento dimesso” e gli “occhi persi” dei prigionieri, leggendovi lo scontento diffuso verso Saddam Hussein. Ammette onestamente di avere notato tutto ciò mentre guardava la Tv. Sappiamo già, dalle cronache di Bonini & D’Avanzo, che guardare bene la Tv è uno dei compiti fondamentali del corrispondente di guerra. Allam si limita a guardarla con più acume.
Il vero Magdi Allam, quello che amo, emerge il giorno successivo. La televisione irachena ha mostrato le foto di cinque marines catturati, e di altri morti e accatastati. E’ a questi ultimi che si dedica Allam, con una descrizione di grande efficacia scenica:
“Un’intenzionale esibizione di brutalità. I volti sfigurati, la fronte dilaniata dal colpo di grazia appena sparato, i corpi gettati sul pavimento in mezzo a pozze di sangue, il pantalone abbassato in segno di sfregio”.
In effetti, le foto mostrano che alcuni dei marines hanno i calzoni semiabbassati, come se li avessero… tirati per i pantaloni. Infatti sono chiaramente stati accostati l’uno all’altro. Ma ciò ha poca importanza. Quel che conta è il “colpo di grazia”. Bisogna attendere il 27 perché Magdi Allam ci spieghi la dinamica dei fatti, in un articolo intitolato I marines giustiziati dai plotoni della morte. La prima frase è già rivelatrice: “L’ordine di Saddam è perentorio: ‘Uccideteli!’”. In effetti è perentorio, però non è riferito ai marines prigionieri: è tratto da un discorso in cui Saddam Hussein incitava gli iracheni alla resistenza. Ma poco importa a Magdi Allam, che citando il New York Times, che a sua volta cita imprecisate fonti del Pentagono e della Casa Bianca, dice che “probabilmente quei soldati sono stati giustiziati di fronte a un plotone d’esecuzione improvvisato sul luogo della cattura. Un macabro spettacolo offerto alla cittadinanza come esempio da seguire e come monito a tutti coloro che dovessero nutrire simpatie per gli americani” (chiaramente una folla: siamo nel giorno successivo alla prima strage in un mercato di Baghdad).
Si noti quel “probabilmente”: rende dubitativa la prima frase, ma la seconda è già assiomatica. Non parliamo della terza: “Si tratta del primo caso di giustizia sommaria ai danni degli americani in questa guerra”.
Benissimo. Adesso il quadro è chiaro. Gli americani vengono allineati davanti a un plotone d’esecuzione, al cospetto della cittadinanza o di una sua significativa componente. Ai sopravvissuti alla fucilazione viene sparato in mezzo alla fronte, da distanza sufficiente a fare un foro senza spaccare il cranio. Poi ai morti vengono calate le brache, per il sollazzo generale. Ma qui i plotoni della morte devono avere davvero fretta, perché dimenticano di slacciare le cinture. Dalle foto si vede, infatti, che le vittime hanno ancora la cinghia. A quel punto i boia rinunciano a scoprire del tutto natiche e pudenda. Disperdono la folla, che ha già avuto la sua buona lezione, e fotografano i corpi. Assolutamente lineare.
Nei giorni successivi, tuttavia, si rinuncerà a sostenere la tesi dei marines uccisi dopo la cattura (anzi, Lilli Gruber mostrerà la scena di alcuni marines che uccidono due iracheni prigionieri stesi al suolo, senza peraltro dare troppo peso alla faccenda). Anche perché interviene nel frattempo il caso di Jessica Lynch, che faceva parte dello stesso gruppo di marines uccisi o catturati. La si scopre viva in un ospedale, sottoposta a cure mediche. Certe Tv statunitensi sosterranno per un poco che l’ospedale era in realtà una camera di tortura (in effetti, ogni ospedale iracheno può oggi apparire tale), mentre la stampa scandalistica dirà che era stata tenuta in vita solo per essere violentata a ripetizione dalle “scimmie”. Anche questo, però, viene accantonato in fretta, per paura del ridicolo. Chi resiste impavido sul fronte della verità è il corrispondente più coraggioso: Magdi Allam. Non è un caso se l’intera Lega Araba lo odiava tanto.
Prima di passare alle sue nuove rivelazioni, però, soffermiamoci ancora un istante sui plotoni della morte. Cosa siano, Allam lo descrive con tremenda efficacia, da uomo bene informato dei fatti:
“A Baghdad, a Bassora e nei grandi centri urbani la Guardia Repubblicana ha costituito dei plotoni di esecuzione che giustiziano all’istante chiunque sia sospettato di tradimento. Senza nessun processo ma con tanti testimoni. Perché l’obiettivo non è tanto di uccidere il singolo ma terrorizzare la comunità. A sparare insieme ai militari deve esserci un parente della vittima prescelta”.
Mio Dio, è orribile. Pensate alla scena atroce del padre, dello zio, del figlio, del cognato costretti a sparare sul congiunto. Pensate al tempo perso a rintracciare, come è d’obbligo, qualche parente della vittima. Pensate all’altro tempo sprecato per cercare di radunare un numero congruo di testimoni. Forse è per questo che non si è ancora avuta notizia di un solo episodio simile. La burocrazia di Saddam Hussein dev’essere tutta sguinzagliata nell’adempimento delle formalità previste dalle procedure di esecuzione. Magari suoi agenti sono attualmente negli Stati Uniti alla ricerca di parenti dei marines uccisi o da uccidere, da coinvolgere in qualche modo nel misfatto (e, visto che ci sono, forse ne approfittano per seminare antrace: tout se tient, direbbero i maledetti francesi).
Ma il vero colpo di grazia Magdi Allam lo infligge ai suoi lettori con una frasetta finale del suo articolo, anticipatrice di una tesi su cui si soffermerà più volte nei giorni seguenti: secondo lui, Bush ha deciso “di non ingaggiare lo scontro militare dentro le città per evitare un bagno di sangue tra i civili”.
Ehm, ci vuole un certo coraggio per scrivere una cosa simile lo stesso giorno della prima strage al mercato di Baghdad. Seguiranno le bombe a frammentazione (fatte apposta per salvaguardare i civili), l’abbattimento di interi quartieri popolari, l’eccidio di bambini a Hilla, fino all’assassinio di alcuni giornalisti. Commuove, in mezzo a tanto sangue, l’impegno sostanzialmente umanitario di George W. Bush. Manca poco che Magdi Allam proponga per lui il premio Livio Tempesta della bontà. E manca poco che allo stesso Allam tocchi il premio I Figli di Geppetto per l’informazione onesta e obiettiva.
Il bello però deve ancora venire. Lo si leggerà nella terza e ultima puntata. Preparatevi a ridere.