di Enzo Fileno Carabba
Esce in Francia, nella Série Noire Gallimard, il romanzo Pessimi segnali (tradotto Mauvais Signes) di Enzo Fileno Carabba. E pessimo segnale è di per sé il fatto che il romanzo di uno dei migliori narratori italiani debba uscire prima in Francia che in Italia.
Sarà per il carattere schivo o per la levità della sua prosa, ma in Italia l’autore di Jakob Pesciolini, de La regola del silenzio, de La foresta finale (tutti pubblicati da Einaudi), non ha mai incontrato l’attenzione che meritava. Eppure la scrittura elegantissima, colta e ironica di Carabba, le sue storie tra il poetico e il delirante, sfidano e vincono in originalità tutta la nostra produzione letteraria corrente.
Pubblichiamo le pagine iniziali di Pessimi segnali, precisando che l’azione si svolge in un Pronto soccorso, in cui il protagonista presta servizio civile (V.E.).
Morivano di continuo, come per un’ossessione. Non li capivo. Erano dappertutto: per le strade e nelle case. Noi li portavamo via, con la sirena che urlava e incendiava l’aria. Mi sembravano tutti uccisi. Correvamo nel ghiaccio e nel sole. Incidenti, malattia, lamiere, andavamo incontro a questo senza sapere nulla. L’unica cosa che sapevo era che sicuramente esisteva un colpevole, da qualche parte. C’è sempre un colpevole.
Magari eravamo lì che mangiavamo, o c’era su la solita cassetta con il film porno, o stavamo dormendo, cullati da un ambiente che in quanto a squallore non ha eguali, ed ecco una chiamata – la radio, il telefono -, ecco che dovevamo schizzare verso qualcuno che stava male, con la famiglia che intralciava e si disperava e noi non sapevamo come fare, non potevamo consolare nessuno. Irrompevamo in quelle case estranee, mai viste, ci facevamo largo tra strati di disperazione appiccicosa, obbligati a una confidenza che aveva qualcosa di brutale. A chi mi chiedeva conforto io riuscivo soltanto a dire “Presto arriveremo in ospedale”. Era la mia specialità. Dopo aver caricato alla meno peggio il malcapitato sull’ambulanza – una volta una signora ci rotolò in terra – se non c’erano cose particolari da fare io mi piazzavo accanto e ripetevo “Tra poco arriviamo. Tra poco arriviamo”. Mi sembrava una buona cosa, mi sentivo utile. Nessuno la faceva bene come me, quella parte. Forse dicono così anche gli angeli che scortano le anime nell’oltretomba e che non sanno nulla della logica dell’universo, proprio come me. Non che io fossi un angelo, comunque. Dopo aver lasciato il paziente all’ospedale tornavamo al Sottocomitato, magari finivamo di trangugiare il cibo freddo e, quelli che apprezzavano la cosa , finivano di vedere il film porno. A quel punto ci sentivamo stanchissimi. Era un’esistenza particolare.
Qualcosa non andava. Le persone non erano come mi ero immaginato. Io supponevo che in una sede della Croce Rossa avrei trovato delle crocerossine, ragazze laboriose e volte al bene, pronte a curare il prossimo. Alla peggio immaginavo di trovare dei crocerossini. Tipi altruisti, sempre disponibili a prestarti un cerotto. Invece non era così. Ero finito in un tugurio saturo di violenza, dove alla maggior parte della gente piaceva andare sugli incidenti. La verità è che si eccitavano. Erano persone violente, risucchiate dal sangue e dal dolore altrui: ne avevano bisogno. Quando non lavoravano passavano il tempo a picchiarsi, a guardare i film porno e a correre sugli incidenti. Stazionavano lì, attorno a noi, lì, in un limbo dove si alternavano tensione, azione e rilassattezza catatonica. Correre su un incidente mortale era fonte di prestigio.
Li vedevi tornare gongolanti, dissimulando la soddisfazione con finta modestia, come se non fosse accaduto nulla di bello, e invece poi ti sparavano: “Tre morti” e spiegavano che si sarebbe dovuta pulire l’ambulanza con la sistola, perché il sangue e il resto erano schizzati dappertutto. Naturalmente poi fingevano di essere abbattuti, ma erano addolorati per lo spreco di vite umane quanto una suora lesbica lo è per lo spreco di sperma, se mi passate l’espressione.
Non era soltanto questo che non andava. C’erano anche altri particolari che non tornavano. Ma ora non è questo il punto. Il punto adesso è: come ero finito laggiù?