di Pierangelo Hobo Rosati

un fassinoChiunque pensi che in Italia ci siano degli imbecilli al governo, si sbaglia di grosso, perché all’opposizione c’è anche di peggio. Non solo incapaci di gestire il dissenso alla guerra della stragrande maggioranza degli italiani, il più vasto e determinato movimento d’opinione nella storia della repubblica, ma abilissimi a dividerlo in buoni e cattivi, a smontarne ogni velleità di incidenza reale, a sedarne ogni desiderio di protagonismo.

Perché protagonisti devono essere loro, i vari fassini, i rutelli e i veltroni a stellestrisce, che non intendono neanche per un attimo farsi rubare la scena da qualche milione di inutili pacifisti. Se la regia lo richiede, i fassini di turno sono pronti ad accettare di essere processati in estenuanti dibattiti, utili solo a spostare l’attenzione dalla tragedia reale alla farsa da avanspettacolo della politichetta italiana, improvvisando deboli linee difensive e arrancando fra misere giustificazioni e giuramenti di fedeltà all'”amico americano”.
Così avviene che vadano da soli a chiudersi nel vicolo cieco della polemica sul “neneismo”: si obbligano a schierarsi; su cortese sollecitazione del governo capiscono che non possono restare “né con Bush, né con Saddam”, né gli viene in mente che potrebbero scegliere di schierarsi per la vita contro la morte, da qualunque parte venga. Trovano più comodo, invece, parteggiare apertamente per il politico “buono”, ribadire sovente e a piena voce, molto più di quanto faccia lo stesso Berlusconi, gli storici legami di amicizia con gli USA, campioni di libertà e democrazia. Chi pensa, come il sociologo svizzero Ziegler (vabbè, ma è un socialista) o come il presidente francese Chirac (socialista anche lui?), che l’unico scopo di questa guerra sia la persecuzione dell’assoluta egemonia economica e militare, viene tacciato — non dal governo, ma dagli zelanti fassini — di bieco antiamericanismo. Sarà antiamericano anche il turpe Luttwak, che queste cose le ha dette già da due anni, preconizzando il futuro attacco all’Iraq; sarà antiamericano anche il 70% del popolo americano, che pragmaticamente riconosce che il petrolio possa essere motivo sufficiente per una guerra.
Ci sono delle differenze, dicono gli avveduti fassini, non possiamo mettere sullo stesso piano Saddam e Bush, spietato dittatore l’uno ed equilibrato democratico l’altro. Certo che non li si può mettere sullo stesso piano, del primo non possiamo essere certi, ma del secondo sappiamo che le armi di distruzione di massa le ha e le usa; il primo quanto meno finge di attenersi alle delibere dell’Onu, il secondo ne fa direttamente carta da culo.
Ma, non ancora contenti, i fassini inventano una nuova polemica, se possibile ancora più sterile della prima: meglio una guerra lunga e penosa o una vittoria americana in tempi brevi? La questione, degna di un sondaggio da quotidiano sportivo, ma infame per la carica di cinismo che assume rapportata alla realtà del sangue versato e delle vite spezzate, sottintende con perfida malizia che, a guerra iniziata, il pacifismo diventa disfattismo e quindi non può che generare più vittime. Un’equazione farneticante che i geniali fassini, che adorano i quesiti matematici, sono ben lieti di analizzare nei soliti dibattiti pubblici con nani e ballerine, cadendo nella trappola di trasformare, ancora una volta, una efferata catastrofe in un esercizio accademico, quando non in mero tifo da stadio. Come se fare il tifo per la vittoria americana potesse cambiare le sorti e le conseguenze della guerra. Come se, più del peso delle vittime, fosse importante stabilire chi sarà il vincitore. La notte degli Oscar, per forza di cose, è passata sotto tono, ma c’è ancora qualcuno cha ha voglia di annunciare “and the winner is…”. Un semplice umano buon senso dovrebbe suggerirci che non sappiamo se ci saranno vincitori, ma sappiamo perfettamente chi sono, già ora, i perdenti: la povera gente che subisce le nefandezze di questa, come di tutte le guerre. I morti, i feriti, i profughi, i prigionieri, gli affamati, i futuri terroristi che oggi imparano a odiare, le vittime che vengono citate solo per affermare che non bisognerebbe mostrarle in televisione… sono il “male minore”, gli “effetti collaterali” dell’impegno americano per l’esportazione della democrazia, la stessa che hanno di volta in volta esportato in Cile, in Guatemala, a Grenada, a Panama… un concetto non molto diverso da quello di esportazione del comunismo che fu tanto caro a Stalin.
Ci sono delle differenze, direbbero gli avveduti fassini, ma resta il fatto che bombe e carri armati si assomigliano tutti.