di Valerio Evangelisti

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Ormai lo spettacolo di questa guerra tardo-coloniale non è solo orrendo. E’ turpe. Le vittime predilette dell’esercito invasore sono i bambini. Riempiono le corsie d’ospedale, cadono a grappoli ai posti di controllo dell’armata occupante, piangono nei sotterranei in cui sono rintanati durante i bombardamenti, esibiscono le loro minuscole membra sotto muri crollati. Calcinacci impastati di sangue rivelano manine tese e piccoli crani sfondati.
Perché “vittime predilette”? Perché non poteva che essere così, una volta fatta la scelta, di fronte a un’avanzata a rilento sensibile tanto alle intemperie che alle imboscate, di bombardare a tappeto le città. Un assedio medievale in piena regola, barbarico e infernale. Si distrugge e si incendia finché il nemico non chiederà la resa. Si è perfettamente consapevoli che ciò costerà la vita ai più deboli, ai più poveri, ai più giovani, ai più vecchi. Si sa che chi resisterà meglio saranno i militari, con i loro bunker e le loro corazze.

Ci sono già alibi pronti a bizzeffe. I missili e le bombe di parte propria sono “intelligenti”, e quindi, per definizione, non fanno del male che a chi se lo merita. Se strage si verifica, se bambini muoiono dilaniati, sepolti, bruciati, è la contraerea di Saddam Hussein che sbaglia la mira. E’ Saddam Hussein che trattiene a forza in città gli abitanti di Baghdad. E’ Saddam Hussein che mescola i propri soldati alla popolazione civile. E’ Saddam Hussein che fa strage dei suoi per impedire loro di correre entusiasti verso i carri armati venuti generosamente a liberarli. E’ Saddam Hussein che nasconde gli arsenali sotto le scuole, per ingannare missili tanto intelligenti da individuare l’arsenale che sta sotto, ma non la scuola che sta sopra.
Viene da vomitare. Specie quando l’ipocrisia si spinge oltre i limiti del concepibile, e cioè alle scuse da parte dal Pentagono per l’eccidio di un gruppo di bambini, su una macchina fermata a un posto di blocco. Solo due giorni prima un giornalista del Sunday Times, Marc Franchetti, tutt’altro che ostile agli “alleati” (il suo articolo è tradotto su La Repubblica del 31 marzo, ed è uno dei pochi onesti del giornale), aveva raccontato di undici macchine colpite così a Nassirya, quale sfogo dei marines esasperati dalla morte di quattro loro commilitoni in un attentato suicida. Forse paghi, e in pace con la coscienza, allo spettacolo dei risultati della loro collera: “Lungo la strada una bambina, sui cinque anni, con un vestitino arancione e oro, giaceva morta nel fosso, accanto al corpo del padre. Le mancava metà testa. Lì accanto, in una vecchia Volga crivellata di proiettili, la madre era come afflosciata, morta, sul sedile posteriore”.
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C’è da chiedersi perché venga tenuto in galera Dutroux, il sadico belga torturatore di bambine, se la sua azione, condotta su scala più vasta, diventa come per miracolo legittima e morale. Il fatto è che gli manca l’alibi più forte di tutti. Lo si fa per la democrazia, come a Hiroshima e a Nagasaki (molti hanno spiegato Hiroshima, ma nessuno ancora Nagasaki, e prima ancora Dresda). Saddam Hussein è un orribile dittatore; ergo, i bambini iracheni (ma anche le donne, gli uomini, i vecchi) devono rassegnarsi a morire a mucchi. Chi sopravviverà dirà “grazie”: finalmente si godrà la democrazia sotto un governatore statunitense o sotto un protettorato Onu, avrà diritto alle sue razioni alimentari, farà la fila per abitare una tenda della Croce Rossa, beneficerà della ricostruzione fulminea attuata dalle multinazionali occidentali che già adesso litigano per spartirsi le gare d’appalto. Avrà tutto, insomma; basta che rinunci all’autonomia e al senso dell’onore. Strisci, si prostri, porti fiori alle armate liberatrici e i suoi bambini smetteranno di morire. In fondo, si fa tutto per il loro bene.
C’è qualcosa di terrificante in questa distorsione del senso etico: il sospetto che, al di là della guerra in atto, essa debba essere la regola delle relazioni umane future. Almeno lo si dicesse con franchezza: uccidere bambini è giusto (e magari dà anche piacere, aggiungerebbero Dutroux o i marines impegnati a vendicare i commilitoni sulle macchine di passaggio). Invece ci si dice che è “inevitabile”. “Inevitabile”? Ma scherziamo?
No, purtroppo non è affatto uno scherzo. L’esercito anglo-americano inchiodato tra le sabbie o piantato davanti alle città in fiamme, quali lanzichenecchi frenati da un semplice ponte levatoio alzato, non potrebbe conquistare un metro se non avesse alla retroguardia un’intera massa di teorici del cinismo, della schiavitù come via per la libertà, del soggiogamento quale scorciatoia per la democrazia, della distribuzione di morte quale viatico per la vita. Non parlo dei corrispondenti di guerra, vittime in fondo della ridda esasperata di comunicati menzogneri dei comandi militari (generali iracheni catturati ogni giorno, salvo scoprire che non è vero; Bassora continuamente presa e continuamente da prendere; Saddam Hussein che quotidianamente muore e poi risorge; l’Iraq del nord tutto sotto controllo, tanto che i marines devono gettarsi col paracadute, invece di atterrare su un aeroporto teoricamente già loro; un gruppo di fanatici islamisti alleato a Bin Laden presentato come longa manus del governo iracheno, quando se ne stava tra le montagne per combattere il regime; una distanza da Baghdad dei liberatori che diminuisce ogni giorno, per poi risultare maggiore di quella del giorno prima; e poi, per condire il quadro degno di 1984 di Orwell con un po’ di pepe, tutto un corredo horror, lasciato ai peggiori gazzettieri: lingue tagliate, prigionieri uccisi o lasciati dissanguare lentamente, ragazze impiccate perché hanno applaudito gli invasori, “plotoni della morte” scatenati da Saddam contro i suoi stessi sudditi, stupri selvaggi). La colpa dei corrispondenti è di alimentarsi alla fonte più facile, e di cercare sinonimi e giri di frase alternativi per proporre in altra salsa articoli già scritti.
Parlo d’altro, e cioè dei teorici, dei commentatori, degli intellettuali di vaglia, messi in campo assieme alle soubrettes e ai presentatori televisivi. C’è quello che disquisisce sull’uso delle immagini di morti e feriti quale strumento di propaganda irachena (il che è senz’altro vero, se non fosse che le immagini sono reali); c’è l’altro che rimbrotta la “sinistra radicale” perché, attardata com’è su problemi morali, si scorda che la vittoria degli anglo-americani è comunque vittoria dell’Occidente, e come tale va auspicata (senza considerare che sta parlando dei macellai del momento, responsabili delle città distrutte e del sangue che scorre); c’è poi quello che si lancia in quadri ipotetici del “dopo Saddam”, regolarmente formulati a prescindere dalla volontà della popolazione interessata: l’autentica variabile che rende la guerra attuale tanto più ardua di quella del 1991.
Il peggio, cioè il vomito, è raggiunto da chi auspica un trionfo degli uccisori di bambini il più possibile rapido; e accusa chi parla di indipendenza dei popoli, di diritto di resistenza a fronte di un’invasione, di azione internazionale per fermare un massacro, di connivenza con la dittatura o di volere prolungare un conflitto, col suo corredo di lutti. Che si vergogni. Ha mai sentito parlare di dignità? Crede che la nozione ambigua di Occidente a cui si aggrappa potrà mai esercitare alcun potere d’attrazione, se si presenta in scena coperta dalla testa ai piedi di sangue innocente?
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Ma quali lezioni morali possono dare costoro? I loro maestri sono Tony Blair, l’uomo che rimise in libertà Pinochet e che, quando non si occupa di Echelon o di guerre infami, conduce una spietata guerra interna contro poveri e mendicanti; oppure Massimo D’Alema, colui che consegnò Ocalan ai suoi aguzzini e che nel 1999, in una conferenza delle sinistre dell’area mediterranea, rifiutò l’accesso al Partito comunista iracheno (la vittima storica di Saddam Hussein, e uno dei suoi maggiori oppositori), preferendogli Tariq Aziz. E’ gente di questo calibro che oggi fa la morale al movimento senza se e senza ma.
La prospettiva di una soluzione al conflitto che veda neutralizzati gli anglo-americani li spaventa. Non seguirò la loro logica, tutta astratta e giocata a prescindere dalla gente uccisa ogni giorno. Fanno i loro dannati calcoli politici, condotti fino alla sfrontatezza di indire manifestazioni per la pace fasulle, in alternativa a quelle vere. Che si fottano. Non andranno lontano.
Il vero movimento sta giocando il ruolo che fu dei partigiani europei: salva l’onore dell’Occidente, se così lo vogliamo chiamare. Quale antitesi ci sarebbe, a un proliferare prevedibile degli integralismi in tutto il mondo arabo che è già sotto gli occhi di tutti, se non il dimostrare che anche in Europa, anche negli Stati Uniti, anche in Giappone, anche in Australia (tale è l’Occidente, agli occhi dei suoi teorici) masse intere si ribellano a un crimine assurdo? Quale remora può esserci al dilagare del terrorismo etnico-religioso, se non la dimostrazione concreta che, anche nei paesi in cui un pugno di governanti ha voluto un eccidio, la gente soffre quanto un arabo se un bimbo viene dilaniato da una bomba “liberatrice”?
Io penso che a un’immagine emblematica che avevo proposto (quella di un contadino iracheno che abbatte un elicottero con uno schioppo) ne vada sostituita un’altra. Ieri si vedeva in tv un giovane padre di Bassora, o forse di un altro luogo, che soffriva. La sua bimbetta, che avrà avuto tre anni, era distesa su un lettino, tutta fasciata. Lui cercava di farla pensare ad altro che al dolore. La toccava ogni tanto con la delicatezza con cui si tocca un petalo, per non farlo cadere. Lei stringeva i piccoli pugni e scuoteva la testa da una parte e dall’altra.
E ora vi chiedo, bastardi: cosa mi dite davanti a un’immagine così? Cianciate di democrazia, di guerre umanitarie, di dittature da abbattere a ogni costo, di difesa dell’Occidente o di cos’altro? Non vi sto nemmeno a sentire. Per me siete già morti. Morti dentro.
Cos’è che diceva Gesù Cristo di chi fa del male ai bambini? Io non sono religioso, e non so nemmeno se Cristo sia mai esistito. Però condivido, parola per parola, la sua maledizione.