di Luigi Bernardi

Questo articolo, apparso su Il Domani di Bologna nella rubrica di Luigi Bernardi Il Delatore, è anteriore all’attacco anglo-americano all’Iraq. Coglie però la natura vera della guerra che si sarebbe scatenata di lì a poco.

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Bisogna proprio dirlo: tutte queste bandiere fanno una certa impressione. Sono sempre di meno i palazzi di Bologna dai quali non ne garrisca almeno una, con i colori dell’arcobaleno e la scritta «pace» bene evidente. È una bella notizia, vuol dire che anche nella cittadella l’appiattimento sulle smanie guerrafondaie degli Stati Uniti d’America è lontano dal realizzarsi. Conoscendo i nuovi bolognesi, c’è di che rallegrarsi. Tutte queste bandiere però mi danno lo stesso da pensare, come molti commenti che si leggono sui giornali o si ascoltano alla televisione. Sono pensieri che una volta tanto pretendono il sopravvento sul contenuto solito della rubrica.

Il primo pensiero è la natura della cosiddetta guerra che Bush e i suoi alleati si preparano a muovere contro l’ Iraq di Saddam Hussein. Si dice che sarebbe la naturale prosecuzione della lotta contro il terrorismo scatenata dopo l’11 settembre. La fase due, dopo che nella prima si era provveduto a seppellire l’Afghanistan sotto un tappeto di bombe, a cacciare i talebani e a fallire nell’obiettivo principe dell’attacco: l’assassinio di Osama bin Laden. Saddam Hussein è il prossimo nella lista, lo è perché avrebbe contatti con la rete di Al Quaeda, e perché l’Iraq sarebbe in possesso di armi di distruzione di massa. Insomma, l’Iraq è il nuovo nemico. Di un nemico però, spesso conta più la percezione che la sua effettiva consistenza. Io, per esempio, non ricordo un solo giorno della mia vita, un solo istante, in cui mi sia sentito minacciato da Saddam Hussein. Anche impegnandomi, non riesco a considerare l’Iraq un «nemico», al di là della poca simpatia che provo per il suo ducetto vanitoso. Poca simpatia che del resto corrispondo a colui che vorrebbe ergersi come il campione di tutti noi, il cavaliere texano George Bush. Senza la percezione di un nemico, che guerra è?
Un altro pensiero è intrinseco alla stessa parola «guerra». Guerra non è una parola che mi spaventa, non sono un adepto del pacifismo a ogni costo, secoli di storia umana hanno dimostrato che la guerra può rendersi necessaria, servire a qualcosa. Non bisogna neppure dimenticare che la guerra ha avuto anche un’accezione nobile, ci sono state vittorie nobili e sconfitte meritevoli del medesimo aggettivo. Una guerra però necessita di due contendenti, di forze entrambe schierate, di un esito incerto. Quella che Bush vuole scatenare contro Saddam Hussein non è una guerra. Quella contro Saddam ha la stessa valenza della brutalità di un adulto contro un bambino, di un violento contro una donna, di un bambino contro un insetto. La guerra di Bush è prima di tutto un’aggressione vigliacca contro qualcuno al quale è stato impedito di armarsi, e quindi di potersi difendere. Non siamo più nell’autunno/inverno del 1990/91, quando gli esperti foraggiati da Bush padre e amplificati dai media hanno truccato le carte per convincerci che l’Iraq fosse la quarta o quinta potenza militare del pianeta. E tutti quanti abbiamo creduto così tanto alla verità di quella menzogna da svuotare i centri commerciali e riempirci le dispense di generi di prima necessità, casomai il mitico supercannone iracheno fosse in grado di spararci i suoi proiettili fin dentro casa. Questa volta siamo tutti quanti più avvertiti. Sappiamo che l’Iraq non ha uno straccio di mezzo per difendersi. Sappiamo che la guerra di Bush è pari all’aggressione di una squadraccia fascista a un cittadino che rivendica la propria libertà di pensiero, all’agguato mafioso a un commerciante che si rifiuta di pagare il pizzo, allo stupro del branco a una ragazza che ha l’unico torto di possedere un buco dove potersi infilare, allo scippo del tossico a una vecchietta che non ha neppure la forza di stare sulle gambe.
La guerra di Bush e dei suoi amici Blair e Berlusconi, insomma, non merita neppure di essere chiamata così. Senza un nemico percepibile, senza un avversario in grado di difendersi, è un atto di violenza a senso unico, un’azione che il codice penale di qualsiasi paese raffigurerebbe come reato, in una parola: un crimine. Per questo, sulla bandiera che pende dal mio balcone c’è scritto «pace», ma vorrei che si leggesse «vergogna», o meno elegantemente: «vaffanculo».