Arrivò davanti il negozio di fiori e smise di camminare. Dietro di lui, dei passi cambiarono improvvisamente direzione e poi si fermarono. Finse di osservare delle composizioni di rose. Poi, le sopracciglia alzate, si voltò un po’, piano, e controllò il marciapiede con la coda dell’occhio.
Un bambino.
Una signora con un cane al guinzaglio.
Un furgone parcheggiato sul bordo, con le quattro frecce, e un tizio che… scaricava degli scatoloni.
E poi c’erano due persone con un impermeabile, con il giornale aperto a nascondere il volto.
Riprese a camminare sul marciapiede, ora più speditamente, e mosse gli occhi tutt’intorno alla ricerca di un taxi. Dietro di lui, i passi degli inseguitori si muovevano alla sua stessa velocità.
Passò davanti un’altra vetrina, stavolta a specchio. Guardò, sempre con la coda dell’occhio: erano dietro di lui, indossavano impermeabili neri, occhiali scuri e cappello. Uno basso e l’altro alto. Sembravano davvero i Blues Brothers. Solo dopo un po’ si accorse che uno di loro, in realtà, era una bella donna con capelli tagliati molto corti.
Mise una mano nel taschino interno della giacca, dove aveva le foto, a controllare che ci fossero ancora.
Dove poteva nasconderle?
Poteva fermarsi da qualche parte e disfarsene, almeno per un po’, e poi sarebbe tornato a riprenderle…
No. Troppo importanti, troppo rischio. Doveva inventarsi qualcosa. Per il momento andava bene gironzolare, facendo attenzione a non fermarsi in vicoli ciechi. Abbastanza facile rimanere in trappola, anche nel centro di una grande città. Doveva fare attenzione.
Svoltò l’angolo, si guardò alle spalle. Prima che loro lo raggiungessero, cominciò a correre.
L’uomo urtò la porta della toilette con una manata, e qualcosa dall’altra parte, disse: – Uhu!
I due personaggi vestiti di nero entrarono nel bagno. Seduto sul pavimento, una persona si comprimeva il naso, dal quale usciva sangue.
– Mi scusi -, disse frettolosamente l’uomo vestito di nero, guardandosi intorno.
– Hutto… honzo! Mi hai haccato il haso!
– Ho detto: mi scusi -, ripeté quello con l’impermeabile, calmo. Afferrò l’uomo, facendolo alzare, e lo spinse fuori della porta, richiudendola subito.
I due mossero gli occhi a controllare l’interno della toilette. La donna si aprì l’impermeabile… ed estrasse una pistola.
Si avvicinò ai box, accucciandosi per guardare sotto, controllando se ci fosse qualcuno. Niente nel primo… niente nel secondo e nel terzo… Nel quarto c’erano due piedi e dei calzoni calati. La donna con l’impermeabile nero spalancò la porta del box, e un uomo molto grasso, con gli occhi sgranati, alzò le mani terrorizzato.
– Ma che…?
Non era lui. La donna richiuse la porta e proseguì.
Anche il sesto box sembrava vuoto.
Quando però la porta venne aperta, dentro c’era proprio la persona che i due personaggi vestiti di nero si aspettavano di trovare, in piedi sopra il water. Un giovane con l’orecchino e i lunghi capelli biondi raccolti in una coda. La T-Shirt, sotto una giacca leggera, recava la scritta:
VOI G8, NOI 6.000.0000.000.
I due personaggi vestiti di nero fissarono il ragazzo come gatti davanti a un topo stanato.
La donna gli fece un cenno con la pistola. “Forza, scendi”.
Sulle prime, il ragazzo mosse gli occhi repentinamente e sembrò pensare a qualcosa di estremo, un ultimo e disperato tentativo di sfuggire, magari buttandosi contro di lei, disarmarla.
Poi, lentamente, scese, e la donna con l’impermeabile nero arricciò il naso in una smorfia, gli bloccò le braccia, costringendolo a girarsi, e gli infilò delle manette. – Muoviti.
Fuori dal box, l’uomo in nero aveva acceso una sigaretta. – Ma credi che abbiamo tempo da perdere?
Il giovane non rispose.
L’uomo in nero fece un cenno con gli occhi alla sua collega. Lei annuì, aprì di nuovo il box dove c’era l’uomo seduto sul water e disse: – Vada fuori, è una conversazione privata… per favore.
cli-click
– Sì sì ecco, vado, vado subito.
– La ringrazio. Porti pazienza.
Anche la donna vestita di nero, ora, mise in bocca una sigaretta. Passi veloci che correvano verso l’uscita, la porta venne aperta e richiusa: l’uomo era uscito.
– Finalmente soli -, fece l’uomo in nero. – Bene, piacere di conoscerti. Io mi chiamo Dante. Lei è Katia. Speravo in un appuntamento in un posto più elegante, a dire il vero. Fai parte di cosa, tu?
Il giovane non rispose. Sputò per terra.
– Black Block?
– Ti piacerebbe?
– Allora?
– Allora vaffanculo, punto nero.
L’uomo che si chiamava Dante rise. – E’ solo per sapere a chi dobbiamo spedire il tuo cadavere dopo che ti avremo piantato una pallottola in testa, ragazzo. Sai, il funerale, la gente che piange, tutte queste cose… Ma se non ci tieni… Va bene, non importa. Le foto, per cortesia.
– Eh?
– Muoviti.
– Quali foto?
L’uomo in nero sospirò.
– Ma per chi mi avete preso, scusate, io non ho nessuna foto…
Dante aprì l’impermeabile ed estrasse la .38 dalla fondina ascellare. – Conterò fino a tre. Vuoi che conti fino a tre, figlio di – (cli-click ) – puttana? Eh?
– Sai cosa, punto nero?
– Dimmi.
– Che puoi baciarmi il cu…
Dalla canna della pistola dell’uomo in nero, l’istante successivo, uscì del fumo.
La pallottola si era piantata, silenziosa, nel cervello del giovane anarchico. L’uomo in nero soffiò sulla canna.
– Katia, ordinò.
Lei si chinò e frugò nelle tasche del giovane. Sigarette… un coltellino. Fotografie.
Erano quattro in tutto. Le mostrò all’uomo di nome Dante.
Sulla prima c’era il presidente degli Stati Uniti con alcuni ufficiali, davanti a uno strano aereo di colore nero, un velivolo che aveva due ali che si piegavano ad angolo. Assomigliava vagamente a uno Stealth, ma dalla forma… un po’ diversa.
Su un’altra foto, il Premier francese che stringeva la mano a una figura indistinta, un uomo molto alto, con una tunica bianca. Foto di riunioni internazionali. Il G8 di Genova, il Presidente del Consiglio italiano che parla con il Premier britannico e altri personaggi con una tunica lunga e bianca… Sull’ultima foto, gli otto grandi erano seduti a un tavolo, in un meeting senz’altro non ufficiale, svoltosi segretamente. Il tavolo era rettangolare, e ai due posti a capo c’erano il presidente degli Stati Uniti e un nono membro. Un essere molto alto, con una lunga tunica splendente. Era completamente senza capelli, con due fori al posto delle orecchie e la pelle di un colore azzurro chiarissimo, gli occhi obliqui, privi di sclera come quelli di certi animali.
Nella sala era stata affissa alla parete una mappa della Galassia.
L’uomo in nero azionò l’accendino per un’altra sigaretta, poi avvicinò la fiamma alle foto.
Le gettò in terra, guardandole mentre, infuocate, annerivano e si accartocciavano… Le pestò con lo stivale.
– Noi siamo il G9 – mormorò, guardando il cadavere del giovane anarchico. Arricciò un angolo della bocca verso l’alto, in un’espressione che era quasi di compatimento. – Voi siete zero.
Racconto di Riccardo Coltri