di Fiorenzo Angoscini
Il Nuovo Canzoniere Italiano e l’Istituto Ernesto de Martino
Come organizzatore di cultura, Bosio, ha promosso, proposto e realizzato molti progetti. Sicuramente, i due più significativi, tra loro collegati e interdipendenti, conseguenti con tutte le iniziative ‘pensate’ in precedenza, sono il “Nuovo Canzoniere Italiano”, che non è stato solo il nome di una rivista, e l’ “Istituto Ernesto de Martino per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario”.
Il ‘Canzoniere’ è stato un agglomerato di solisti: Ivan Della Mea, Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli, Alfredo Bandelli, Luisa Ronchini, Pino Masi, Rosa Balistreri, Gualtiero Bertelli, la mondina Giovanna Daffini e suo marito Vittorio Carpi (suonatore ambulante di violino), reggiani di Santa Vittoria di Gualtieri, Caterina Bueno, Ciccio Busacca, Sandra e Mimmo Boninelli1 , gli ex Cantacronache2 Fausto Amodei-Michele Luciano Straniero-Emilio Jona-Sergio Liberovici-‘Margot’, Alberto D’amico, Giorgio Gaslini, Sandra Mantovani ; mentre nella fase iniziale d’attività anche Dario Fò ed Enzo Jannacci sono stati canzonieri militanti e gruppi musicali (Canzoniere del Lazio, Nuovo Canzoniere Bresciano, Canzoniere Popolare Veneto, Gruppo Padano di Piadena, Canzoniere Pisano, I Giorni Cantati di Calvatone e Piadena, Canzoniere di Rimini, Canzoniere Popolare di Bergamo, Canzoniere Popolare della Brianza, Canzoniere Popolare Romano, Canzoniere Popolare Modenese) hanno raccontato, affiancato, sostenuto, con ballate, lettere musicali, racconti orali, canzoni, rappresentazioni teatrali, la vita, le lotte, le storie della classi subalterne. Anche Franco Fortini e Umberto Eco sono stati ispiratori pratici di questo progetto. Oltre ai protagonisti, anche alcune delle loro realizzazioni-rappresentazioni hanno inciso sul tessuto socio culturale di quest’Italia. Si sono già ricordati gli allestimenti di ‘Bella Ciao. Un programma di canzoni popolari italiane’ e ‘L’altra Italia. Prima rassegna italiana della canzone popolare e di protesta vecchia e nuova’. Altrettanto importanti sono stati ‘Pietà le morta. La Resistenza nelle canzoni 1919-1964 ‘, ‘Ci ragiono e canto’ (Rappresentazione popolare in due tempi su materiale originale curata da Cesare Bermani e Franco Coggiola) e’La grande paura. Settembre 1920. L’occupazione delle fabbriche’ (Rappresentazione teatrale in due tempi su materiale raccolto da Cesare Bermani, Gianni Bosio, Franco Coggiola con allestimento, testo e interpretazione del Collettivo Teatrale di Parma). Infine, ‘Il bosco degli alberi. La storia d’Italia dall’ Unità a oggi attraverso il giudizio delle classi popolari’ (Rappresentazione in due tempi a cura di Gianni Bosio e Franco Coggiola).
Già sul finire degli anni cinquanta (1957) Gianni Bosio e Alberto Mario Cirese, pensavano di costituire una struttura stabile e polifunzionale dove far convergere, organizzare, raccogliere e conservare tutto il diverso materiale (libri, riviste, pubblicazioni sparse, dischi, manifesti, spettacoli teatrali-musicali, fotografie e filmati) frutto del lavoro già compiuto e di quello futuro ancora da svolgere. Il “Centro di documentazione e studio delle arti e tradizioni popolari” è stato (anche se solo in bozza) il precursore ed anticipatore dell’ Istituto Ernesto de Martino.
Bosio e Cirese costituiscono ‘legalmente’ l’Istituto il primo gennaio 1966, convenendo di affidare la direzione a Roberto Leydi.3 Divergenze di opinioni e metodologie distinte portano al distacco di Leydi dai due promotori del progetto e rallentano l’inizio delle attività dell’Istituo, che slitta al primo luglio dello stesso anno. Nel 1965 era morto Ernesto de Martino 4 antropologo,5 etnologo,6 storico delle religioni, studioso, professore universitario, uomo di cultura nel senso più ampio del termine. Tra lui e Cesare Pavese intercorre un corposo carteggio relativo a come impostare e gestire la mitica Collana Viola dell’ editore Einaudi (poi passata a Bollati Boringhieri) “collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici”7 . La ‘viola’, riuscì a far appassionare lettori ed esperti, veicolando nel paese scienze fino ad allora semi-sconosciute: etnologia e storia delle religioni, conferendo tagli ed impostazioni disciplinari particolari: psicologia religiosa e studio dei dislivelli culturali.
Ma de Martino è stato anche un militante politico che affrontava rilevanti questioni teoriche e ne discuteva con, ad esempio, Pietro Secchia8 , il ‘rivoluzionario eretico’ che dialogava con molti, nonostante gli sciocchi appellativi con cui veniva etichettato: l’ uomo che sognava la lotta armata, l’ultimo stalinista, l’amico di Giangiacomo Feltrinelli (sottinteso in odore di guerriglia).
Gli uomini, le donne, i collettivi citati non sono tutti i protagonisti di questo viaggio culturale-umano-storico-musicale-teatrale-letterario e politico. Ci sono stati abbandoni, distacchi e, in alcuni casi, ritorni. Alcuni hanno compiuto solo un breve tratto di strada comune, altri un tragitto più lungo, i più convinti il percorso completo. Così come non è stato ‘ricostruito’, in maniera totale, tutto il ‘movimento’ che, partito dalle intuizioni-elaborazioni-realizzazioni di Gianni Bosio si è organizzato attorno a lui. Si è voluto, però, offrire un panorama il più rappresentativo possibile.
Oggi, l’Istituto, è un insieme di “…gruppi collegati: dalla Lega di Cultura di Piadena, al Circolo Gianni Bosio di Roma, alla Società di Mutuo Soccorso Ernesto de Martino di Venezia, ad altre nate negli ultimi anni come gli Archivi della Resistenza di Fosdinovo o la recentissima L’altra Cultura di Orta San Giulio”9
Di seguito, per completezza parziale, alcuni esempi di ‘eredi’ non diretti, esperienze cioè che, con il lavoro dell’innovatore culturale mantovano, hanno tratti comuni. Ad esso, sostanzialmente, si richiamano o ispirano. Oppure compiono una traiettoria simile.
Eredi ‘paralleli’
Nel dicembre 1963 nasce a Reggio Emilia con un primo numero ciclostilato ‘Il Cantastorie. Rivista di tradizioni popolari’, come continuazione di un saggio monografico di Giorgio Vezzani, fondatore e attuale direttore, dedicato ai cantastorie allora numerosi e presenti sul territorio emiliano. Con l’anno successivo la rivista viene stampata in tipografia e continua fino ad oggi con periodicità semestrale.10
Dopo il 2000 si sono formate, oltre alla direzione centrale di Reggio Emilia, altre due redazioni a Milano e a Roma. Il 2013 segna la chiusura definitiva della storica Rivista per decisione del suo fondatore che continua la sua attività di ricerca. I cinquantanni di attività sono certificati con un convegno. “I cinquant’anni della rivista ‘Il Cantastorie’ (1963-2012)” i cui atti e relazioni sono stati raccolti e pubblicati nel 2012, come quaderno n. 13, da “Il Giorno di Giovanna”.
Ed inizia la pubblicazione di ‘Foglio Volante’ nuovo strumento ‘elettronico’ informativo della rivista di tradizioni popolari “Il Cantastorie on line”11 che continua tutt’oggi. Ultimo numero diffuso è il 13 dell’aprile 2017.
A Montecchio Emilia, paese reggiano al confine con la provincia Parmense, Bruno Grulli stampa, nel maggio1979, il numero 1 di “La Piva dal carner. Foglio volutamente rudimentale di cultura popolare, ricerca, comunicazione e dintorni a 361°”. La prima serie prosegue fino al n. 74 dell’ottobre 2012 che pubblica la ricerca sulle 18 pive emiliane superstiti e che di fatto avviava il nuovo corso della PdC. Nell’aprile del 2013 viene pubblicato il primo numero della nuova serie e viene leggermente modificato il sottotitolo: ‘Foglio rudimentale di comunicazione a 361°’. In questo n. 1 si segnala un saggio di Gianpaolo Borghi: “Due recenti studi sui cori delle mondine”. Nel n. 7 (ottobre 2014) Franco Piccinini, in ‘Non solo folk’, racconta la storia di Ferruccio Reggiani, migrante per reato di antifascismo, e del suo salone da parrucchiere in rue Faubourg St. Denis a Parigi: “Un covo di antifascisti, boxeurs, magnaccia e prostitute”.
Sul n. 8 del gennaio 2015, un contributo di Stefania Colafranceschi racconta di “Sant’ Antuone, Sant’ Antuone, lu nemiche de lu demonie”. “La copertina è dedicata a Sant’Antonio Abate, santo col quale la PdC intrattiene uno speciale rapporto nella ricorrenza del 17 gennaio consumando il “tradizionale” ZAMPETTO che quest’anno raggiunge la 30^ seduta. Lo zampetto è connesso con la pratica della macellazione del suino che culmina in questo periodo secondo l’ operatività di una cultura materiale antichissima. «Tradizionale» è una parola della quale andrebbe chiarito il significato. Gli attribuiamo semplicemente il valore «…che avviene calendarialmente e regolarmente da tanto tempo…». Oggi però si inseriscono nel tradizionale anche cose di recente origine, prive di un reale retroterra e fissate da esigenze commerciali o ludiche e pertanto ci chiediamo quale veramente sia la portata di quella parola. Optiamo dunque per una distinzione tra ciò che deriva dalla «cultura popolare operativa» e ciò che è «qualcosa d’ altro». Le feste patronali, i balli antichi, la fiaba, ecc. a quale categoria appartengono?” E’ quanto chiariscono in presentazione d’opuscolo, GianPaolo Borghi e il direttore di testata Bruno Grulli. Il n. 9 (aprile 2015) titola: “Cantar bisogna. Canto sociale e canzoni partigiane a Reggio Emilia”. Sull’ultimo numero, luglio 2017, Riccardo Varini ricorda cosa si fa “Nelle ultime osterie del medio Appennino Reggiano”.
Nel 1984, Saverio Tutino, giornalista, ex inviato de ‘L’Unità’ e di altra stampa comunista, ha l’idea di fondare a Pieve Santo Stefano (Ar) un luogo in cui accogliere le scritture autobiografiche degli italiani, per concedere il diritto di parola ai ‘senzastoria’. Lo chiama Fondazione Archivio Diaristico Nazionale12 ed istituisce il Premio letterario ‘Pieve’. “Cercate nelle soffitte e nei cassetti i carteggi d’amore dei nonni, le lettere d’emigrazione, i taccuini dalle trincee di guerra, il diario di un vecchio antenato, inviateci le pagine personali che avete scritto durante la vostra vita, le memorie autobiografiche di eventi passati, ma anche i vostri diari intimi giovanili: raccoglieremo questo materiale in una sede pubblica e lo metteremo a disposizione delle generazioni future. Naturalmente cerchiamo documenti autentici, non rielaborati né corretti da altri”.13 Il premio si svolge dal 1986, ed è giunto alla 33° edizione. Dall’edizione 2012 è diventato Premio Pieve Saverio Tutino-Diritto di memoria, in omaggio al suo fondatore, scomparso nel novembre 2011. L’autore vincitore, viene premiato ogni anno con la pubblicazione del ‘diario’ prescelto. L’efficace motto che accompagna il ‘Premio’ è: ‘sostieni la causa della memoria’.
‘La ricerca folklorica, contributi allo studio della cultura delle classi popolari’, è la rivista trimestrale che La Grafo Edizioni di Brescia, con direttore responsabile Glauco Sanga, inizia a pubblicare dall’aprile 1980. Il n.1, dedicato a ‘La cultura popolare’, contiene contributi dello stesso Sanga, ‘Due note sulla cultura contadina’, di Diego Carpitella, ‘Comunicazione e mentalità orale’ e Bruno Pianta, ‘Ricerca sul campo e riflessioni sul metodo’. Collaborano a questo primo numero anche, ma non solo, Umberto Cerroni, Alberto Mario Cirese, Roberto Leydi. Il n° 70 (2015) è l’ ultimo numero rintracciato. Dal numero 41 (aprile 2000) ha modificato denominazione, grafica e ‘testata’: non più il precedente titolo per esteso, bensì le iniziali ‘pronunciate’ di R(icerca) e F(olklorica). Ed è diventata ‘ErreEffe’.
A Motteggiana (Mn) dal 1994 si svolgono gli incontri denominati “Il Giorno di Giovanna”, dedicati alla mondina-cantastorie mantovana Giovanna Daffini. Nata, il 22 aprile 1914, esattamente a Villa Saviola frazione di Motteggiana, anche se, dal 1936, dopo essersi sposata con il violinista di strada Vittorio Carpi, si stabilisce a Gualtieri (Re) dove muore il 7 luglio 1969. Contemporaneamente agli incontri, vengono consegnati i premi ai vincitori del ‘Concorso nazionale Giovanna Daffini per testi inediti da cantastorie’. I premiati andrebbero ricodati tutti, purtroppo per esigenze di spazio, e notorietà, citiamo i ‘conosciuti’: Franco Trincale, nel 1997 con ‘La Resistenza’, Sandra Boninelli, nel 2004 per ‘Con te’ e nel 2011 con ‘O rondinella se passi di qua’. Nel 2016 lo speciale premio della giuria è stato conferito a Mehta Jagjit Rai (amico-collaboratore della Lega di Cultura di Piadena) per “melismi di altre terre che narrano il dramma degli emigranti” . Il 4 giugno 2017, durante il 23° Concorso Nazionale sono stati attribuiti questi riconoscimenti. Premio speciale fuori concorso a ‘Lega di Cultura di Piadena’ “nel 50° della sua fondazione”; a ‘I Giorni Cantati’ il “premio continuità e tradizione”. Ancora a Meha Jagjit Rai il 1° premio per “Nessuni mi ha detto spegni la luna’ “tra memoria e ironia”.
Dal 2001, il Comune di Motteggiana-Archivio Nazionale “Giovanna Daffini”, in occasione de “Il Giorno di Giovanna”, diffonde un quaderno monografico con, oltre al programma della giornata, nomi dei vincitori e loro composizioni e contributi e notizie varie sul mondo dei cantastorie e degli ‘ambulanti’ delle note.
Dei ‘quaderni’, giunti al 17 numero (tutti preziosi e dal n. 7, del 2007, con allegato Cd contenente l’esecuzione, da parte degli autori stessi, dei brani vincitori) si segnalano il n. 14 del 2014: “Giovanna Daffini: celebrando il centenario della sua nascita nel ventennale del suo giorno” e il ‘fuori collana’, “Giovanna Daffini. L’amata Genitrice. Le canzoni di Giovanna Daffini dall’archivio di Roberto Leydi (1963-1965)” con Cd allegato. Ristampa della precedente edizione storica registrata da “I Dischi del Mulo”.
L’ultimo richiamo, forse atipico, è riservato ad un gruppo musicale di ‘combat-rock’, i Gang dei fratelli Severini14. Amici e collaboratori di Alessandro Portelli ed Ambrogio Sparagna si rifanno a “Quella scuola cha ha radici nei lavori di De Martino, di Carpitella, di Alan Lomax, di Gianni Bosio fino appunto a ‘I Giorni Cantati’ (la rivista, nda). Portelli è stato e resta il guru dei Gang, una guida spirituale e scientifica”. 15
Del resto “sono solo dei vecchi Comunisti”.
Io e Bosio
“Saranno circa vent’anni, forse meno/e proprio a casa mia/c’era il Gianni Bosio/che io chiamavo Giuan/gli occhiali sul naso/gli scivolavano via/fumava e chiaccherava/il Bosio, il mio Giuan/E io per fare il grande/restavo lì a guardare/e mi rompevo le palle/di tutto quel gran parlare/tra il Gianni e mio fratello/e gli altri che erano lì/ma quello che loro dicevano/non potevo capire”.
Così, nella primavera del ’72 (non ancora diciottenne) ad un anno dalla sua morte, ho conosciuto Gianni Bosio. Attraverso quelle ballate che Ivan Della Mea aveva raccolto e inciso nel disco “Se qualcuno ti fa morto”. Dopo averlo ascoltato, e riascoltato, mi sono detto: “non ho capito nulla”. Della Mea era, per me, colui che aveva scritto e cantato “Cara moglie” e proprio non riuscivo a capire quel suo poetare e mischiare Giuan con i socialisti, i Maggi di Costabona e Che Guevara. Ma è stato proprio da lì, dalla prima volta che ho sentito parlare di quell’ animale strano che ho imparato a conoscerlo.
Gianni Bosio, me l’hanno insegnato : Ivan, attraverso le sue canzoni e scritti, Cesare Bermani, il curatore privilegiato della pubblicazione dei suoi scritti postumi, gli animatori della Lega di Cultura di Piadena, con cui collabora strettamente. Per un’altra realtà di base piadanese, il Gruppo Padano, cura la pubblicazione in vinile di “I Giorni Cantati”. Un disco in cui sono raccolte canzoni e comportamenti delle genti che abitano quella porzione di terra racchiusa fra due fiumi, il Chiese e l’Oglio, “paesi come Calvatone, Piadena, Voltido, San Paolo, Canneto, Vho, Bizzolano, Acquanegra con tante osterie, differenti situazioni di lavoro e uomini incerti tra l’antica fatica dei campi e la pressione che viene dai nuovi insediamenti industriali”.
E’ ancora Ivan Della Mea che, pochi mesi dopo (maggio 1972) aver cantato “Se qualcuno ti fa morto”, riprende e prosegue, per me, il dialogo ‘a distanza’ con Gianni. Con lui ripercorre idealmente gli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra, quelli della ricostruzione, i bei tempi di buriana (bufera) che contraddistinsero il ’48, gli anni del Fronte Popolare, dell’illusione della sinistra (PCI-PSI) al potere e dell’effige di Giuseppe Garibaldi che, soprattutto nella Padania lombarda ed emiliana, campeggiava ovunque: edifici di città, baite di montagna, cascine, fienili. Con ‘Sent un po’, Giuan te se ricordet…‘ racconta otto anni della nostra storia (‘dalla parte del torto’) dal 1948 al 1956 , e canta le speranze dei giovani che, in qualsiasi occasione e situazione, abbracciati, cantavano Bandiera Rossa ed esternavano le loro aspirazioni. Ma anche allora e proprio in quel mese primaverile “han vint i pret cont i bali e i orazion”. Questo, d’altronde, era stato l’epilogo del 18 aprile 1948.
Il 14 luglio sparano a Togliatti in parlamento. Si è, forse, sull’orlo della guerra civile. Ma a Parigi Bartali taglia per primo il traguardo. Si aggiudica il Giro di Francia e così il vicino di casa che il pomeriggio caldeggiava l’occupazione delle piazze, la sera, ascoltata la radio, urla Viva Bartali! Come ricorda Della Mea, “i democristi han vinciu i elezion”.
Poi, ancora, il ’50, Anno Santo, con Pacelli (Papa Pio XII) che dispensa scomuniche e anatemi anticomunisti, e la statua della Madonna Pellegrina vaga in lungo e in largo per la penisola. Ma il ’50 è anche un anno maledetto : il 29 agosto, in un albergo di Torino, Cesare Pavese muore suicida. Pone così fine al suo difficile ‘mestiere di vivere‘.
Dopo i fatti politici gli eventi ‘naturali‘. Nell’inverno a cavallo tra il ’51 e il ’52 la grande alluvione nel Polesine. Il fiume Po straripa e allaga mezza pianura del basso Veneto. “Case allagate dispersi a centinaia. E poi le foto, Giuan, ti ricordi? Galline e cani e vacche nella fanga, la gente acquattata sui tetti, è un grande silenzio di acqua e di dolore”.
Lo stesso silenzio che abbiamo sentito nel Vajont (9 ottobre 1963).
Ancora la politica nel ’53, con la ‘Legge Truffa’, e sempre in quegli anni, agosto ’56, un’altra tragedia della fame e del lavoro, che in Italia non c’è. A Marcinelle,16 in una miniera del Belgio, perdono la vita 262 lavoratori, 136 sono italiani. Vittime della miniera, dell’emigrazione, della miseria.
Gianni Bosio muore, Mantova, il 21 agosto del 1971. I Compagni che lo accompagnano, ricoprono la sua bara con una bandiera rossa, senza nessun simbolo o marchio di partito.
“L’Unità” ne da solo un laconico annuncio tramite un trafiletto anonimo nell’edizione del giorno successivo. Ivan Della Mea, sempre su “L’Unità”, ma di sabato 17 agosto 1985, sostiene:“Gianni Bosio misconosciuto in vita. Misconosciuto dopo la sua morte. Non dovrebbe succedere, ma succede”.17
Il Nuovo Canzoniere Italiano dal 1962 al 1968 reprint, con prefazione di Cesare Bermani, Istituto Ernesto de Martino-Gabriele Mazzotta Editore, Milano, novembre 1978; Cesare Bermani, Una storia cantata. 1962-1997. Trentacinque anni di attività del Nuovo Canzoniere Italiano/Istituto Ernesto de Martino, Jaca Book-Istituto Ernesto de Martino, Milano, marzo 1997 ↩
Emilio Jona e Michele Luciano Straniero (a cura di) Cantacronache. Un’avventura politico-musicale degli anni cinquanta, Scriptorium & Ddt Associati, Torino, novembre 1995 – Giovanni Straniero-Carlo Rovetto, Cantacronache. I 50 anni della canzone ribelle. L’eredità di Michele L. Straniero, Editrice Zona, Civitella in Val di Chiana (Ar) maggio 2008 ↩
Ivrea (To) 1928-Milano 2003, cultore di musica contemporanea e jazz, poi ricercatore di musica popolare, nella più ampia accezione del termine. Dal 1973 docente di etnomusicologia al DAMS di Bologna ↩
Napoli 1908-Roma 1965, nel 1948 pubblica ‘Mondo magico’, testo fondamentale delle sue esperienze e convinzioni. Iscritto al Psi, è segretario di federazione in Puglia, lì approfondisce le ricerche ed indirizza i suoi interessi verso lo studio etnografico delle comunità contadine del meridione d’Italia. Di questa fase sono le sue opere più conosciute: “Morte e pianto rituale”, “Sud e magia”, “La terra del rimorso” incentrata, quest’ultima, sul fenomeno del tarantismo e realizzata con ricerche sul campo in Salento, la collaborazione di Giovanni Jervis (psichiatra), Letizia Comba Jervis (psicologa), Amalia Signorelli (antropologa culturale) Diego Carpitella (etnomusicologo), Franco Pinna (fotografo) e la consulenza di S. Bettini, medico. Nel 1950 aderisce al Partito Comunista Italiano. Nel 1962 pubblica “Furore Simbolo Valore”, forse il suo contributo più importante alla comprensione degli ‘episodi di costume dell’Europa contemporanea‘ ↩
Amalia Signorelli, Ernesto de Martino, Teoria antropologica e metodologia della ricerca, L’Asino d’oro edizioni, Roma, maggio 2015 ↩
Clara Gallini e Francesco Faeta (a cura di) I viaggi nel sud di Ernesto De Martino, fotografie di Arturo Zavattini, Franco Pinna e Ando Gilardi, Bollati Boringhieri, Torino, maggio 1999 ↩
Pietro Angelini (a cura di) Cesare Pavese-Ernesto De Martino, La collana viola. Lettere 1945-1950. Storia di una battaglia culturale, Bollati Boringhieri, Torino, gennaio 1991 ↩
Riccardo Di Donato (a cura di) Compagni e amici, Lettere di Ernesto De Martino e Pietro Secchia, La Nuova Italia, Firenze, dicembre 1993 ↩
Istituto Ernesto de Martino, Un laboratorio sul mondo oppresso e antagonista, Gli uomini, le opere, i giorni, Il de Martino. Rivista dell’Istituto n. 25 del 2015 ↩
https://www.rivistailcantastorie.it/pagina-iniziale/ ↩
https://www.rivistailcantastorie.it/ ↩
http://www.archiviodiari.org/index.php/home.html ↩
Salvate dalla distruzione i diari e le lettere, Premio Pieve ↩
Marino e Sandro Severini (The Gang), Banditi senza tempo, prefazione di Alessandro Portelli, Selene Edizioni, Milano, settembre 2003 ↩
Lorenzo ‘Lerry’ Arabia e Gianluca Morozzi (a cura di), Le Radici e le Ali. La storia dei Gang, Associazione Culturale Musica e Idee – Ferenandel, Ravenna, aprile 2008 ↩
https://www.carmillaonline.com/2016/08/08/marcinelle-8-agosto-1956-carbone-cambio-vite-umane/ ↩
Maurice Mariani (F.A.), L’intellettuale rovesciato, BresciaOggi, 21 agosto 1985 ↩