di Luca Cangianti
Lello Saracino, Il tenore partigiano. Nicola Stame: il canto, la Resistenza, la morte alle Fosse Ardeatine, Alegre, 2015, € 15,00
In una grigia cella del carcere romano di Regina Coeli, Nicola Stame cantava le arie più belle della lirica per portare sollievo ai prigionieri antifascisti. E nessun soldato tedesco si permise mai d’impedirglielo. Quest’immagine drammatica riassume la storia di arte e di rivolta che Lello Saracino racconta nel libro Il tenore partigiano.
Stame era originario di Foggia e iniziò la carriera artistica trasferendosi nel 1932 a Roma, dove abitò in via dei Volsci 101, nel quartiere operaio di San Lorenzo. Si esibì al Teatro dell’Opera e poi, essendogli vietati i palchi regi a causa del suo antifascismo, al Teatro Vittoria e al teatro Al Circo Massimo. La sua voce era “piena, rotonda, morbida, capace di legare come di espandersi senza problemi nelle zone più alte”. Stame fu inoltre partigiano, comandante della I Zona (San Lorenzo, Tiburtino, Pietralata) nella formazione comunista eretica Bandiera Rossa che durante la Resistenza romana arrivò a contare quasi 1.200 effettivi, un numero superiore a quelli del Pci.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, Nicola entrò con la sua divisa d’aviere nella caserma di via dei Frentani dove prestava servizio e portò via fucili e pistole. Combatté alla Cecchignola, dove fu ferito di striscio, e prese parte alle barricate di Porta San Paolo nel tentativo di arrestare le truppe naziste. Il 6 dicembre dello stesso anno nei cinema Imperiale, Bernini e Barberini i partigiani di Bandiera Rossa entrarono in azione lanciando in sala mazzi di volantini firmati “Comitato romano per il movimento comunista italiano”. Nicola era a capo di una delle squadre che eseguirono l’azione. Nei giorni seguenti l’impresa suscitò grande ammirazione negli ambienti antifascisti. Il 24 gennaio 1944, a causa di una soffiata delle spie infiltrate nel movimento clandestino, fu arrestato mentre si recava a una riunione per informare i suoi compagni circa i contatti avuti con gli ufficiali alleati. Il tenore fu condotto in via Tasso 155 dove si trovava la Sicherheitspolizei, dalla quale dipendeva la Gestapo, la Polizia segreta nazista. In quell’edificio, dove oggi si trova il Museo della Liberazione di Roma, Nicola fu torturato. Condannato in seguito dal Tribunale Speciale Tedesco al carcere duro in Germania, dopo l’attentato di via Rasella fu prelevato e ucciso alle Fosse Ardeatine insieme ad altri 334 uomini. La figlia di Nicola, Rosetta, oggi è la presidente dell’Anfim (Associazione nazionale famiglie italiane martiri caduti per la libertà della patria). Al tempo aveva sei anni. L’ultima volta che incontrò suo padre in prigione gli chiese “ma perché sei qui?” Il tenore partigiano rispose: “Bambina mia, sono in questo posto perché tutti i bambini possano vivere liberi e in giustizia.”
La lettura della biografia scorre con grande agilità grazie alle molte scene di vita quotidiana che aiutano a ricreare la Roma del periodo bellico: i prezzi della borsa nera, il coprifuoco, i giornali ridotti a quattro fogli, le tessere annonarie, ma anche la festa scatenata per la caduta del fascismo il 25 luglio del 1943, con i romani in pigiama e pantofole a esultare nelle vie e nelle piazze. Gli eventi raccontati nel libro di Saracino sono tutti reali e frutto di una ricerca storica basata sugli archivi della polizia e dell’aeronautica, sulle memorie e sulla stampa del tempo. Tuttavia Il tenore partigiano fa parte della collana Quinto Tipo che è dedicata a quelli che Wu Ming 1 definisce “oggetti narrativi non-identificati”, cioè opere ibride a cavallo tra scrittura creativa e non fiction. Il libro, infatti, si inserisce nel filone storico che mette in chiaro il backstage: le motivazioni che spingono Saracino a intraprendere la ricerca e poi la scrittura del libro fanno parte della narrazione stessa. Inoltre quando i riscontri archivistici contraddicono parzialmente le memorie dei familiari (come nel caso del soggiorno argentino), Saracino non opera nessuna forzatura disciplinare e non ha paura di lasciare un alone di mistero sui fatti. Questo modo di affrontare un tema di non fiction produce un coinvolgimento e un’empatia umana che normalmente non sono l’obiettivo principale della ricerca storica convenzionale. Si tratta di una scelta estetica, ma forse anche politica, perché quello di Nicola Stame è un racconto di vita e di morte, di dignità e di rivolta, che si rivolge al presente. Saracino tesse infatti i fili della narrazione fino a oggi: i personaggi in bianco e nero di Roma città aperta sono seguiti fino alle vicende più recenti. Nel 1957, nonostante la condanna al carcere a vita, il criminale di guerra Albert Kesselring viene liberato. Subito dopo non manca di rivendicare le azioni compiute. Nel 1977 Hebert Kappler, comandante della Gestapo a Roma, responsabile dei rastrellamenti al Ghetto e al Quadraro, nonché dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, fugge dalle prigioni italiane e si rifugia nella Germania Occidentale che non concede l’estradizione. Infine arriviamo a Eric Priebke, il capitano delle SS deceduto nel 2013, che partecipò alla pianificazione e alla realizzazione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Fuggito da un campo di prigionia in Italia, prima di esser individuato da un giornalista statunitense nel 1994, vive da uomo libero per mezzo secolo a San Carlos de Bariloche in Argentina e ogni tanto si reca da turista sulla costiera ligure, a Capri e a Sorrento.
Ma i mostri non sono soltanto alieni che valicano le Alpi: a Roma nel 1994 un procuratore trova un armadio di ghisa con le ante rivolte verso il muro in un locale di palazzo Cesi-Gaddi, sede di vari organi giudiziari militari. Contiene 695 fascicoli d’inchiesta e 2.274 notizie di reato per crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazifascista. L'”armadio della vergogna”, così fu battezzato giornalisticamente, evidenzia come l’Italia repubblicana insabbiò immediatamente le atrocità nazifasciste ponendosi per certi versi in continuità con le strutture di potere precedenti.
Lucia Zauli, moglie di Nicola, chiese un giorno: “Ma perché metti la politica davanti alla tua passione, alla tua arte?” Il tenore rispose: “non è questione di politica. In questo momento il fatto è di essere uomini o non esser uomini.” Affermazioni di questo tipo non sono casuali e ne troviamo di simili in molti testi di memorialistica della Resistenza. La scelta partigiana si trova a valle di un bivio esistenziale inevitabile: da una parte l’umanità, dall’altra l’orrore. Ma forse c’è di più: quelli che all’apparenza possono presentarsi come elementi eterogenei, l’arte e la politica, nel caso della scelta partigiana e rivoluzionaria non lo sono affatto. Manuel Scorza, ad esempio, nella Danza Immobile afferma che “è imprescindibile fare politica e poesia. Quando un rivoluzionario non è poeta finisce per essere un dittatore o un burocrate, un traditore dei propri sogni.”