di Alexik
[A questo link il capitolo precedente.]
[Nei giorni scorsi un’orda razzista ha assaltato il centro di accoglienza di Tor Sapienza, che ospitava anche profughi nigeriani. Li hanno accusati di portare il “degrado”. Nessuno degli artefici del pogrom si è mai chiesto quanto degrado si nasconda dentro un pieno di benzina.]
“Il petrolio è anche in profondità. Quando abbiamo provato a issare le reti il colore dell’acqua è diventato nero … e con le reti é salito anche l’odore del greggio … Quando ci siamo avviati con la barca era come navigare nel petrolio… il greggio copriva tutto, a perdita d’occhio”1 (Sunday Ayoyo, Odioama, 8 dicembre 2013).
L’onda nera è arrivata dal mare. A Odioama (Nigeria/Bayelsa State), un villaggio Ijaw fra il fiume St. Nicolas e l’Oceano Atlantico, vivono prevalentemente di pesca… o almeno vivevano fino al novembre 2013, quando l’oceano si è tinto di nero. La marea velenosa fuoriuscita dagli impianti dell’Agip di Brass ha stroncato la loro fragile economia, che non si era ancora ripresa dal disastro di due anni prima, provocato dalla falla di un oleodotto della Shell.
Ma nello Stato del Bayelsa le comunità che hanno maggiormente “beneficiato” della modernità portata dall’Eni sono sicuramente Kalaba e Ikarama, dove gli spandimenti di greggio o semilavorati dalle condutture dell’Agip registrano una frequenza impressionante. Sul territorio di Kalaba passano le tubazioni che portano il greggio dal pozzo “Taylor Creek A” fino ad Oshie. L’oleodotto attraversa il fiume, passa fra le case, le strade, gli stagni, le fattorie. “Abbiamo subito più di 30 spandimenti di petrolio da quando l’Agip ha installato i suoi oleodotti. Io conosco un solo caso in cui l’Agip abbia pagato i danni” (Roman Orukali, Kalaba, 2 luglio 2012)2.
Nelle cronache del Bayelsa ogni volta si ripete lo stesso scenario di distruzione e disperazione. Si ripete la rovina dei raccolti irrorati a petrolio, raccolti che erano costati così cari: tanti giorni di cammino per procurare le sementi, tanta terra da dissodare a mano sotto il sole, tanta fatica per sopravvivere annullata in un attimo, tanta angoscia per aver perso tutto. Viene distrutto il lavoro delle donne:
“Le nostre fattorie sono state inondate di petrolio o bruciate senza alcuna compensazione. Io stessa ho dovuto abbandonare la mia fattoria più grande, e conosco altre 12 donne della comunità che hanno dovuto fare lo stesso. Tutto questo ci ha scoraggiate a continuare a coltivare, e anche i nostri mariti non vanno più a pesca. Gli spandimenti di petrolio hanno reso inutilizzabili le nostri fonti di acqua pulita e gratuita, compreso il Taylor Creek, perché hanno inquinato in modo persistente ogni specchio d’acqua della comunità. Quest’anno abbiamo visto i pesci morti galleggiare sul fiume e sui nostri stagni” (Ovia Joe, Kalaba, gennaio 2012)3.
“Il rendimento della mia terra è basso, pochi i prodotti per il mercato a causa degli spandimenti continui. Vivo nell’infelicità perché coltiverò la terra per mesi, fino a quando uno spandimento di petrolio non distruggerà tutto ciò per cui ho lavorato, senza che il governo o la compagnia facciano niente. A parte questo, non abbiamo nessun beneficio in termini di strade, infrastrutture, impiego. È la quinta volta che una perdita di petrolio compromette i miei sforzi, senza alcun compenso o bonifica. Al massimo arrivano e chiudono la falla scortati da militari armati pesantemente. Quest’ultimo incendio mi ha gettato nel panico, ho pensato solo a cercare i miei bambini. Non ho più denaro. Voglio che loro [l’Agip] vengano a pulire, che impieghino i nostri giovani e insegnino alle donne altri mestieri, finché non potremo tornare a vivere di agricoltura. Non abbiamo ancora denunciato l’incidente a nessuna autorità, c’è una voce in giro che la compagnia si sta mobilitando per arresti di massa” (Tina Alibi, Kalaba, agosto 2012)4.
“Noi coltiviamo ogni anno questa terra, e andiamo a comprare le sementi di yam molto lontano da qui. Ma puoi vedere che con questo spandimento i miei sforzi e il mio lavoro sono stati vani Io non ho un altro lavoro, io dipendevo dall’agricoltura e dalla pesca per vivere”5 (Mary Gold Nwanlia, Kalaba, settembre 2014).
Nelle cronache del Bayelsa, ogni volta si ripete lo stesso copione di incuria e disprezzo, perché le falle vengono lasciate aperte per giorni, o addirittura per settimane, ampliando il danno ecologico a dismisura prima che una squadra di manutenzione intervenga a chiuderle.
“Secondo un testimone la perdita è iniziata il 7 febbraio, ma dopo quattro giorni era ancora lì. L’Agip ha mandato diversa gente a controllare, ma è venuta a guardare e poi se ne è andata, lasciando allargare la falla sotto la pressione del greggio”6 (Kennet Ibinabo, Egbebiri, febbraio 2014).
“Noi abbiamo chiamato l’Agip lo stesso giorno, il 27 maggio, ed informato la compagnia della falla nell’oleodotto. È stupefacente che, nonostante li avessimo avvertiti subito, non si siano mossi fino al 6 giugno”7. (Michael Joseph, Okpotuwari, giugno 2014)
“Questa perdita è cominciata il mese scorso [agosto 2014] e noi abbiamo subito informato la compagnia. Ma non era così grave come è ora. Pensavamo che l’Agip si sarebbe mobilitata per venire a investigare e chiudere, ma non sono venuti fin ad ora” (Samuel Oburo, 15 settembre 2014)8.
Strane cose poi succedono ai verbali di ispezione: “La perdita dall’oleodotto dell’Agip è iniziata il 20 marzo e ha continuato a nebulizzare fino a quando la compagnia non è venuta a chiuderla il 5 aprile…. Loro hanno registrato sul verbale della JIV che la perdita era iniziata il 3 aprile, per uno spandimento di cui li avevamo avvisati il 20 marzo. Nulla è stato fatto per pulire o evitare che il greggio continuasse a diffondersi. Così ha continuato a spargersi nel lago e deve aver ormai raggiunto Masi, il lago successivo. Ha inquinato oltre 100 stagni, distruggendo la vita acquatica. Se ti avvicini puoi vedere i pesci morti. Puoi vedere le trappole per i pesci, che hanno dato da mangiare alle famiglie, hanno permesso di mandare i loro figli a scuola e di costruire le loro case, ma tutti questi diritti vengono negati nel momento in cui il greggio si spande nel fiume”9 (Joe Orukali, Kalaba, 23 giugno 2014).
A volte l’intervento delle squadre di manutenzione dell’Agip aumenta la gravità del disastro: “Ci hanno informati che c’era della gente in tuta da lavoro nella boscaglia, così siamo andati a controllare. Abbiamo visto un militare e 16 addetti della Nigerian Agip Oil Company con una saldatrice, un estintore e un po’ di detersivo, mentre cercavano di bloccare il punto di fuoriuscita. Durante la saldatura il fuoco è partito da una scintilla e ci ha circondati. Siamo scappati tutti in direzioni diverse, lasciando bruciare l’incendio senza nessun intervento di estinzione”10 (Nature Nyekefamo, Kalaba, 15 agosto 2012). Da questa descrizione risulta evidente come la squadra dell’Agip non avesse nè le capacità né le attrezzature antincendio necessarie per quel tipo di intervento.
Né l’Agip, né lo Stato predispongono squadre addestrate ed equipaggiate per gli interventi di emergenza negli abitati vicini agli oleodotti. E’ la popolazione stessa che deve provvedere a mettersi in salvo. A Egbebiri (Bayelsa State), nel febbraio scorso, il greggio in forma gassosa fuoriuscito da un oleodotto dell’Agip ha reso l’aria velenosa ed esplosiva. Ad evacuare la zona ha dovuto pensarci il caposquadra di un cantiere lì vicino: “Questa perdita ha reso insicura l’intera area. Il gas è velenoso, e non posso esporvi gli operai”11.
In compenso, in mancanza di vigili del fuoco o addetti alle emergenze, lo Stato del Bayelsa ha inaugurato in maggio il corpo dei ‘Bayelsa Volunteers’, 1.100 “volontari” pagati (si … è un po’ una contraddizione in termini) per combattere il “crimine dei sabotaggi, dei furti di petrolio” e servire da scorta armata degli addetti delle multinazionali12.
Benché si tratti di giovani del Bayelsa, la loro irruzione in comunità diverse da quelle di provenienza viene vissuta come un atto intimidatorio. A volte, in caso di incidenti agli oleodotti, i “Bayelsa Volunteers” rappresentano l’unica presenza istituzionale assieme ai soldati.
“Sono arrivati di soppiatto il sei giugno per chiudere la falla. Si, di soppiatto, perché non hanno informato in nessun modo la comunità del loro arrivo… Sono arrivati con un soldato e con alcuni membri dei “Bayelsa Volunteer”. Non c’era nessun rappresentante del NOSDRA, o del ministero dell’ambiente o nessun altra delle parti interessate all’ispezione. Ho chiesto personalmente al caposquadra dell’Agip perché fossero venuti senza nessun rappresentante del governo. Si è messo a ridere, e mi ha detto che solo i “Bayelsa Volunteer” girano con l’Agip”13 (Michael Joseph, Okpotuwari, giugno 2014). Nessuna ispezione pubblica, quindi, su questo incidente, che sarebbe rimasto sotto silenzio se la comunità non avesse avvertito gli attivisti dell’Environmental Rights Action (ERA).
Teoricamente ad ogni spandimento di petrolio dovrebbe seguire un processo di investigazione (JIV) alla presenza dei rappresentanti delle comunità colpite, dei funzionari della National Oil Spill Detection and Response Agency (NOSDRA), del Ministero dell’Ambiente e del Dipartimento delle risorse petrolifere. Risulta chiaro dalle testimonianze come le comunità siano escluse dalle ispezioni e le istituzioni assenti. In pratica la compagnia si ispeziona da sola, redige una sorta di autocertificazione, cioè un verbale striminzito di un paio di pagine dove può dichiarare quello che le pare sulla data di inizio della perdita di greggio, sui volumi di inquinanti versati, sulle cause della rottura dell’oleodotto14. In questo modo non ha nessuna difficoltà a sottovalutare il danno arrecato e ad addebitare l’incidente ad un sabotaggio, piuttosto che alla corrosione degli oleodotti, alla scarsa manutenzione, ai guasti degli impianti.
Durante l’assemblea ordinaria del 2013, l’Eni ha affermato che “la Nigeria è il Paese con la più elevata incidenza di spill [spandimenti], causati per la quasi totalità da atti di sabotaggio e bunkering [furti di petrolio]”15.
Nel rapporto “Bad information. Oil spill investigations in the Niger Delta” Amnesty International commenta così queste affermazioni: “Nel 2012 si è raggiunta l’incredibile cifra di 474 spandimenti derivanti da operazioni dell’Agip, comparati con i 207 della Shell. L’Agip attribuisce la maggioranza degli spandimenti ai sabotaggi ma non fornisce assolutamente nessuna informazione a supporto. Comunque, un numero così alto di spandimenti, qualunque ne sia la causa, è indifendibile… Amnesty International ha chiesto all’Agip informazioni sull’età delle sue infrastrutture…. Dei 14 oleodotti menzionati, più della metà è stata costruita negli anni ’70, e quattro hanno 40 anni… Questo rapporto … suggerisce che la compagnia non abbia il controllo delle operazioni nel Delta del Niger. Nessuna compagnia può difendere più di 400 fuoriuscite di petrolio all’anno dando la colpa a sabotaggi e furti”16.
Il “sabotaggio” è la formula magica per colpevolizzare le comunità colpite. Serve ad addossargli la responsabilità dell’incidente. È una sorta di criminalizzazione collettiva che prescinde completamente da una qualsiasi inchiesta seria finalizzata all’accertamento dei fatti. È una forma di intimidazione preventiva verso le popolazioni danneggiate. Della serie: “se tu mi accusi di averti creato un danno, io ti accuso di averlo provocato allo scopo di chiedermi il risarcimento”. Ovviamente, se la “colpa” dell’inquinamento è della comunità, non gli spetta nemmeno la bonifica.
“Una volta che attribuiscono la causa dello spandimento al sabotaggio, alla comunità non arriva nessun indennizzo” (Idoniboye Nwalia, Kalaba, febbraio 2013)17.
Qualche rara volta appellarsi al sabotaggio per l’Agip è stato palesemente impossibile, come nel caso della marea nera di Odioama. Odioama ha ricevuto a titolo di risarcimento ben 24 milioni di naira18. Con la quotazione del naira a 0.0048 Euro la cifra stratosferica equivale a 115.200,00 Euro. Ma la maggior parte delle comunità rischia di aspettare per anni dei soldi che non arriveranno mai. Le tattiche di stallo dei legali delle compagnie petrolifere producono contenziosi lunghissimi, che si perdono facilmente nelle disfunzioni del sistema giuridico nigeriano19.
E dire che le modalità di gestione dei contenziosi sono migliorate rispetto a 15 anni fa. Nel 1999 le comunità del clan Ekebiri (Bayelsa State) chiesero all’Agip il risarcimento per i danni causati in trent’anni di spandimenti di petrolio. L’Agip rifiutò, e il 17 aprile di quell’anno le comunità risposero chiudendo per protesta due collettori. Il giorno dopo l’Agip si presentò con una scorta militare. I soldati aprirono il fuoco sui giovani disarmati e sui capi villaggio di Ekebiri. Spararono per 40 minuti uccidendo otto persone. Due capi villaggio vennero arrestati.20.
Oggi è più facile che le rivendicazioni e le proteste si arenino nelle aule di tribunale. Nel 2009 una ONG nigeriana portò in giudizio il governo e sei multinazionali del petrolio, fra cui l’Eni, per le violazioni dei diritti umani e per l’inquinamento petrolifero del Delta. Per le compagnie la corte si dichiarò in difetto di giurisdizione, ma alla fine del 2012 il governo nigeriano venne condannato21. La sentenza non ebbe effetti pratici.
A quanto pare, vale anche in Nigeria quanto sostenuto di recente dal nostro premier a sostegno dell’Eni: “Aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze, ma non consentiamo a uno scoop di mettere in crisi dei posti di lavoro o a un avviso di garanzia citofonato sui giornali di cambiare la politica aziendale di un Paese” (Matteo Renzi, Camera dei deputati, 15 settembre 2014)22. (Fine)
Nota: nella foto di apertura un pesce morto durante la marea nera a Odioama, novembre 2013. Tutte le foto sono tratte dai rapporti dell'Environmental Rights Action.
ERA, Field report n. 346: Agip spill from Brass terminal spreads to Odioama and environs, 8 dicembre 2013. ↩
ERA, Field Report #304: Fresh oil spills along Agip pipeline pollute Kalaba environment, 2 luglio 2012. ↩
ERA, Field Report #304: Fresh oil spills along Agip pipeline pollute Kalaba environment, 2 luglio 2012. ↩
Era, Field Report 314: Poor clamping methods ignites inferno in Kalaba community, 15 agosto 2012. ↩
ERA, Field Report #285: Fresh Spill from Agip Facility ruins Ponds, Farmlands in Kalaba community, 16 gennaio 2012. ↩
Kennet Ibinabo, Leaking Agip’s oil well sacks Bayelsa community, 11.Feb 2014 ↩
ERA, Field Report 358: Attempt to siphon crude oil from Agip pipeline causes spill in Okpotuwari, 24 giugno 2014. ↩
Oil Spill: Kalaba C’ty Sends SOS To Agip, Federal, Bayelsa Oil Spill: Kalaba C’ty Sends SOS To Agip, FederalGovts To Help Plug Leakage, 15 settembre 2014. ↩
ERA, Field report #357: Agip falsifies date of spill, abandons site for 66 days, 23 giugno 2014 ↩
Era, Field Report 314: Poor clamping methods ignites inferno in Kalaba community, 15 agosto 2012. ↩
Kennet Ibinabo, Leaking Agip’s oil well sacks Bayelsa community, 11.Feb 2014 ↩
Bayelsa recruits over 1000 youths into state volunteers; to complement security agencies in curbing crime, oil theft, security breaches in communities, Bayelsa New Media Team, 28 aprile 2014. Igoniko Oduma, Dickson inaugurates 1,100 youths as ‘Bayelsa Volunteers’, Daily Indipendent, maggio 2014. ↩
ERA, Field Report 358: Attempt to siphon crude oil from Agip pipeline causes spill in Okpotuwari, 24 giugno 2014. ↩
Sui verbali redatti dall’Agip: Amnesty International, Bad information. Oil spill investigations in the Niger Delta, 2013, pp. 33/35 e p. 70. ↩
Assemblea Ordinaria di Eni SpA, 10 maggio 2013. Risposte a domande pervenute prima dell’Assemblea ai sensi dell’art. 127-ter del d.lgs. n. 58/1998. ↩
Amnesty International, Bad information. Oil spill investigations in the Niger Delta, 2013, p. 6, 58 e 65. ↩
ERA, Field Report329: Multiple points spew crude oil along Agip Pipeline in Kalaba, 28 febbraio 2013. ↩
ERA, Field report #366 :Minister’s Unannounced visit to Agip Base in Bayelsa a Mere Publicity Stunt, 29 ottobre 2014. ↩
Stakeholder Democracy Network, Towards a new oil spill compensation mechanism for Nigeria, 14 ottobre 2014. ↩
Cyril I. Obi, The changing forms of identity politics in Nigeria under economic adjustment. The case of the oil minorities movement of the Niger Delta, Nordiska Afrikainstitutet, Research report n. 19, 2001, pp. 84/85. ↩
Court of Justice of The Economic Community of West African States, judgment n° ECW/CCJ/JUD/18/12, 14 dicembre 2012. ↩
Mario Portanova, Corruzione, Renzi alla Camera attacca i pm su Eni: “Avviso di garanzia citofonato”, Il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2014. ↩