di Alessandro Peregalli e Martino Sacchi
[Partendo dall’esperienza della Escuelita Zapatista, un momento di apprendimento e scambio che ha riattivato la costruzione delle reti internazionali dell’EZLN a 10 anni dai caracoles e a 20 anni dall’insurrezione in Chiapas, l’articolo ripercorre la storia della “Comune di Oaxaca” e della APPO del 2006. Nella ricostruzione i due autori sono accompagnati dall’attivista messicano, fondatore della Universidad de la Tierra, Gustavo Esteva. I sentieri dell’autonomia, tra Oaxaca, Chiapas e Italia, ci portano al prossimo incontro internazionale convocato dagli zapatisti dal 31 maggio all’8 giugno, F. L.]
Nel dicembre del 2013 abbiamo partecipato alla seconda edizione della Escuelita Zapatista. A vent’anni dal levantamiento del 1 gennaio 1994, giorno in cui veniva ratificato il Trattato di Libero Commercio tra Messico e Stati Uniti (NAFTA), il movimento zapatista ha convocato un secondo momento di incontro umano e politico, dopo quello dello scorso agosto, con attivisti di ogni età e provenienza. Insieme ad altri 2200 compagne e compagni siamo stati ospitati per una settimana dalle famiglie e dalle comunità in resistenza della Selva Lacandona e della zona de los Altos de Chiapas, cercando di cogliere il senso profondo della loro esperienza di autonomia attraverso la condivisione materiale e il lavoro quotidiano.
La nostra Escuelita, tuttavia, è iniziata ben prima dell’arrivo in Chiapas. Dalla rete dei medios libres al collettivo La Guillotina a Città del Messico fino alla casa editrice indipendente del Rebozo, abbiamo tentato di documentare la realtà del Messico contemporaneo, dei suoi movimenti e delle sue lotte recenti. Tra questi, un incontro molto significativo è stato quello con Gustavo Esteva, intellettuale e attivista, allievo del teorico della descolarizzazione Ivan Illich. Ci siamo visti a Oaxaca, nella sede della Universidad de la Tierra, il centro di ricerca autonomo da lui fondato. Se il Messico è sempre stato uno straordinario laboratorio politico, Oaxaca ha avuto una particolare importanza all’interno di tale laboratorio per la sua forte tradizione di lotte per l’autogoverno.
Insieme a Gustavo abbiamo deciso di ripercorrere una di queste in particolare: l’insurrezione che nel giugno 2006 occupò la città, dando vita alla Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca (APPO), e ne trasformò in maniera irreversibile il volto e la storia. Ci sembra che alcuni elementi di questa esperienza radicale possano fornire una chiave d’analisi utile a comprendere ciò che nel sud del Messico si sta muovendo ora, dall’escuelita zapatista all’imminente data del 31 maggio che vedrà intellettuali di rilevanza mondiale, tra cui per esempio Immanuel Wallerstein, Raul Zibechi, John Holloway, partecipare a un incontro internazionale in territorio zapatista. All’interno di questo quadro, crediamo che la storia della APPO sia utile per sbarazzarci del romanticismo che ha spesso avvolto lo sguardo occidentale, senza tuttavia perdere l’estrema ricchezza di questi movimenti. Come ci disse un piccolo artigiano incontrato vicino alla Iglesia de Santo Domingo, “a Oaxaca c’è un prima e un dopo la APPO”.
Il racconto di un’insurrezione
La “Comune di Oaxaca” sembrerebbe avere come riferimento più immediato l’insurrezione di Parigi del 1871. Questo riferimento, sollevato nel pieno degli eventi nell’autunno del 2006, fu però immediatamente rigettato dagli stessi comuneros che, racconta Esteva, commentarono con orgoglio: “la Comune di Parigi durò solo 50 giorni, la nostra sta durando più di cento”. Questo aneddoto dice forse più cose di quante ne direbbe una semplice battuta: ci dice infatti come l’esperienza insurrezionale che si consumò quell’anno a Oaxaca deve essere vista in primo luogo nella sua particolarità, senza doverla forzatamente collocare all’interno di un quadro, e di un copione, già scritto. L’elemento più interessante della Comune è forse la distanza tra i motivi della mobilitazione, specifici e circostanziati, e l’eccedenza politica sprigionata. Soggettività politiche nuove emersero attraverso pratiche spinte ben oltre ogni copione, mettendo in discussione lo Stato e il principio stesso della rappresentanza. Ripercorrere brevemente i motivi della mobilitazione e le sue eccedenze può fornire spunti di elaborazione politica decisamente interessanti, senza mai dimenticare che la APPO è stato un momento insurrezionale che ha le sue specificità storiche, che si intreccia con il Messico, le sue geografie e storie politiche.
Lo sciopero degli insegnanti della Sección 22 di Oaxaca e il malcontento generale verso il governatore della città, Ulises Ruiz, sono all’origine delle mobilitazioni che portarono il popolo oaxaqueño a combattere barricata per barricata la polizia federale. Cosi Esteva ci ha raccontato la dinamica che accese l’insurrezione: “Il 1 maggio 2006, come ogni anno in quella data, i maestri della Sección 22 si accamparono nello zocalo [piazza centrale] per portare avanti le loro rivendicazioni sindacali. Quella volta, tuttavia, l’accampata assunse un carattere permanente”.
La lotta dei maestri, per le specificità della storia del Messico, non è riconducibile a un conflitto corporativista, legato unicamente a questioni salariali, ma si è da sempre intrecciata con relazioni sociali più ampie. Ci spiega Esteva che la figura del maestro è sempre stata vista, in Messico, nei termini di “lottatore sociale”. Un primo momento costitutivo della centralità sociale del maestro va sicuramente rintracciato nel progetto cardenista, presto abortito, di socialismo messicano negli anni ’30. Durante il mandato del presidente Lázaro Cárdenas (1934-1940), i maestri parteciparono attivamente al processo di ripartizione delle terre, furono attivisti nelle comunità indigene e in un’epoca successiva emersero come forte componente sociale di opposizione in occasione del grande sciopero sindacale nazionale del 1958. A partire da questa importanza storica cerchiamo quindi di comprendere la solidarietà che gli insegnanti ricevettero quando, dopo un mese di aggressiva campagna del governatore contro lo sciopero, il 14 giugno 2006 questi decise di reprimere e sgomberare il presidio usando la forza e mandando la polizia. Il giorno seguente una grande manifestazione di piazza contro il governatore portò alla radicalizzazione del conflitto. Quando lo sciopero della Secciòn 22 fu represso, dunque, la gente scese in strada non solo per solidarizzare con gli insegnanti, ma soprattutto per manifestare un dissenso politico più ampio contro il governatore Ruiz, diventato il bersaglio principale della protesta.
Vista la grande partecipazione, i maestri e il sindacato convocarono una grande assemblea per reagire alla repressione nello zocalo ed allargare la protesta. “Il 20 giugno si fecero due cose: si propose un’assemblea popolare del popolo di Oaxaca, che corrispondeva più o meno all’idea tradizionale per questo tipo di mobilitazioni; poi, quando la sezione 22 dichiarò conclusa l’assemblea, la gente si rifiutò di tornare a casa. Così l’assemblea si converti in un meccanismo permanente.” Lo scarto che produsse la costituzione della APPO sta proprio nella coesistenza, durante tutto il periodo della mobilitazione, di due correnti: da un lato quella verticistica, seppur variegata al suo interno, del sindacato, che aveva “una tradizione di disciplina e organizzazione strutturata in funzione di autorità interne”, dall’altro un movimento molto ampio e antico che proveniva dalle comunità, indigene e rurali, dello stato di Oaxaca.
Oaxaca è “forse il luogo nel Messico e nel mondo intero dove la tradizione di autogoverno è più forte. Tale autogoverno si basava sulle comunità e da lì tentò di proiettarsi su un piano ulteriore, per la prima volta si cercò di spostare queste pratiche a livello statale e questo non era mai avvenuto prima. La componente indigena portò le sue forme assembleari all’interno della APPO.” La storia della Comune di Oaxaca è dunque una storia di un’eccedenza non solo dalla semplice denuncia di una corruzione e di “malgoverno”, ma anche dalle forme stesse di direzione leninista sostenute dalle correnti del sindacato fortemente legate alla tradizione foquista e guevarista. Dall’ingovernabilità interna dei comuneros emerse un piano politico nuovo che ridefinì violentemente sia quello rappresentato dallo Stato e dalla politica rappresentativa, sia quello verticista che si proponeva di dirigere il movimento a partire dallo sciopero dei maestri. La posta in gioco era alta. Ridisegnare la città e la vita quotidiana durante la Comune di Oaxaca imponeva il prendere atto di una composizione del popolo oaxaqueño estremamente variegata, non riducibile ad una soggettività omogenea. La ricchezza di questa presa d’atto stava insomma nell’emergere congiunto di soggettività politiche la cui lunga storia era fino ad allora in un certo senso “sotterranea”: tra essi, in particolare, gli indigeni, da sempre esclusi dalle strutture del governo statale e portatori di pratiche difficilmente compatibili con questa; i lavoratori informali, che nelle piaghe del neo-liberismo e nella crisi delle vecchie tradizioni di lotta hanno via via trovato una loro centralità come oggetti dello sfruttamento capitalistico contemporaneo, ma anche come agenti sociali e politici autonomi; e le donne, e più che altro tutte le vittime dell’oppressione di genere, che per secoli hanno dovuto fare i conti con un patriarcato entrato in profondità nelle viscere della società messicana coloniale e post-coloniale.
Gli indigeni
La Comune di Oaxaca nacque in un certo senso da un incontro tra un centro (l’economia informale, non salariata, urbana) e una periferia (le pratiche tradizionali indigene della campagna e le loro stesse economie). Ciò che ci sembra interessante è come queste soggettività, insieme al ruolo centrale delle donne nella Comune, abbiano ridefinito il lessico politico tradizionale. La componente indigena ebbe un ruolo decisivo nella APPO, in virtu’ delle forme di autogoverno che sedimentavano da secoli nelle loro comunità. Tuttavia, come Esteva ci dice, “la reazione dei popoli indigeni non fu immediata. Seguirono con interesse ciò che stava succedendo dopo il 20 giugno in città ma non si sentirono partecipi. Solo in un secondo momento iniziarono a coinvolgersi nella Appo”. La partecipazione indigena alla Comune di Oaxaca, e il modo in cui quest’ultima venne nutrita dalle secolari tradizioni di autonomia delle comunità indigene, non si può tuttavia capire se non facendo attenzione alle circostanze storiche di tale esperienza.
Esteva ci fornisce qui un quadro efficace: “Oaxaca, avendo meno del 5% della popolazione messicana, ha però un quinto dei municipi del paese. Questo avvenne per due ragioni: in primo luogo perché, a causa della resistenza indigena, lo stato dovette dividere i municipi per meglio controllare la popolazione; in seguito queste stesse popolazioni cominciarono a dividere tali municipi in modo che fossero coerenti per loro. Il municipio, dunque, nato come meccanismo di controllo dell’epoca coloniale e poi dello stato messicano, divenne uno strumento di autonomia dei villaggi, che lo riformularono come modo di esistenza e di governo, e come modo di relazionarsi con lo stato messicano. Mai però erano riusciti, nonostante molti tentativi, ad arrivare a un livello successivo, a organizzare cioè un gruppo di municipi in un’istanza superiore, in qualche modo equivalente alle giunte del buon governo zapatiste, dove si ha comunità, poi municipi autonomi e poi, appunto, le giunte”.
Qualcosa iniziò a cambiare nel 1992 quando la commemorazione dei 500 anni dall’invasione europea produsse, a Oaxaca come altrove in America latina, una situazione di grande tensione. Poco dopo, il 1 gennaio 1994, gli zapatisti si sollevavano in armi. L’allora governatore Diodoro Altamirano cercò di disinnescare un possibile allargamento della rivolta a Oaxaca provvedendo alla stipula di un “Nuovo Accordo” con le popolazioni indigene: l’esito fu una riforma elettorale che diede la possibilità ai villaggi di scegliere se organizzarsi politicamente in un sistema di partiti o secondo i cosiddetti “usos e costumbres”, antiche modalità assembleari di governo locale. Ad oggi, ci rivela Esteva, 412 municipi su 570 sono governati alla maniera indigena. Con la APPO, però si affermò per la prima volta, prepotentemente, il passaggio dal piano municipale a quello più ampio. Ciò non si verificò da un giorno all’altro, ma in un lungo processo che trovò compimento quando diverse APPO furono create nello stato di Oaxaca, dalla costa, all’istmo, alla sierra mixteca, organizzando per la prima volta in 500 anni assemblee a livello regionale in cui le comunità potessero darsi un autogoverno.
I tradifas
Se la “periferia” della Appo emerse con il fondamentale apporto dei popoli indigeni delle campagne, il “centro” urbano della capitale, quello delle barricate e delle occupazioni massive dei centri di potere politico, mediatico e culturale ebbe come componente fondamentale la grande e complessa categoria del lavoro informale. Per capire il ruolo che questa ha avuto nel corso dell’insurrezione dobbiamo considerare la nozione, ideata dallo stesso Esteva, di tradifas, ossia “trabajadores directos de la fabrica social”. La centralità dei tradifas è strettamente legata alla ristrutturazione neoliberale degli anni ottanta, quando buona parte dei lavoratori salariati e dei contadini confluì nel settore informale urbano: venditori ambulanti, piccoli commercianti e artigiani di strada, venditori di “comida de calle”… L’obiettivo che si dà Esteva è ridare un carattere di classe a questa categoria che è stata a lungo considerata un’appendice precapitalista o subordinata al proletariato. Ci racconta infatti che nel 2006 la vita quotidiana della Comune di Oaxaca, dalle assemblee di barrio [quartiere] alle barricate, dalla raccolta rifiuti all’assistenza sanitaria, era mandata avanti in buona parte proprio dai tradifas. Tuttavia, fino a quando il presidio dello zocalo venne gestito dalla Secciòn 22, “non sempre riuscivano a proiettare la loro prospettiva nei momenti decisionali”. La loro partecipazione si impose quando il sindacato ordinò di smontare le barricate all’arrivo della polizia, e i quartieri si rifiutarono di obbedire. “Reti di mutualismo quotidiano che già esistevano in città, che avevano la loro base sociale nei tradifas, furono riattivate in un contesto diverso dalla APPO”.
Le donne
Se dunque, secondo Esteva, la APPO, o meglio, le APPO non furono un semplice rifugiarsi nelle pratiche tradizionali degli “usos e costumbres”, bensì un passo ulteriore, ciò fu dovuto all’emergere di nuove soggettività che espressero un necessario superamento della difesa di autonomie tradizionali e che marcarono un nuovo livello nel modo di pensare e praticare l’autogoverno. I tradifas, figli diretti della ristrutturazione neo-liberale, ne sono un esempio. Un altro, importante esempio, è quello delle donne. Sulla traccia di questa conversazione con Esteva, e sull’attenzione che lui stesso ha avuto sul ruolo delle donne nella APPO, pensiamo si apra uno spazio teorico estremamente interessante.
Ci teniamo a precisare prima di tutto che nell’utilizzare categorie come quelle di indigeni, tradifas, donne, non intendiamo in alcun modo reificarle, considerarle come naturalmente date. Siamo consapevoli che esse da sole non riassumono assolutamente l’estrema complessità del multiforme sfruttamento capitalista contemporaneo. Il fatto che noi le chiamiamo in causa proprio col proposito di distaccarci da ogni idea di avanguardia, come quella che vedeva nei maestri una centralità politica già data, non deve farci cadere nell’errore di sostituire tali categorie sociali alla figura del “luchador social”. Cerchiamo quindi, nel considerarle nel loro apporto fondamentale a un’esperienza come la APPO, di vederle più nella loro funzione disarticolante di certe rigidità ideologiche che in una qualche nuova assolutizzazione transtorica. Teniamo inoltre a precisare che, sul piano concreto, tali categorie non sono mai totali e date una volta per tutte, ma che presentano invece interessantissime intersezioni, per cui non è raro che un soggetto possa ritrovarsi sfruttato, in un luogo come Oaxaca, allo stesso tempo in quanto donna, in quanto indigena e in quanto tradifas.
Ciò detto, la partecipazione attiva delle donne durante la Comune fu un fatto fondamentale. Dotandosi di mezzi specifici, come Radio Cacerola e la Coordinadora de las Organizaciones de las Mujeres, e portando al centro dell’agenda politica le questioni di genere, le donne di Oaxaca emersero come una soggettività nuova per rompere la marginalità cui erano relegate non solo dall’ideologia patriarcale del Messico post-coloniale, ma anche nelle stesse comunità tradizionali. Parlare di autonomia nella Comune di Oaxaca non significa dunque rivendicare una qualche purezza o “semplicità” di costumi che esisteva nelle comunità e che fu poi spazzata via dalla modernità capitalista. Sicuramente l’eredità coloniale pesa su quella che il Subcomandante Marcos ha chiamato “la lunga notte dei 500 anni”: lo sfruttamento e lo sterminio continuano a braccare ogni tentativo di autodeterminazione dei popoli in Messico. Ma non c’è alcun ritorno al “passato perduto”, quanto piuttosto una rottura irreversibile. Le forme di autogoverno delle tradizioni comunitarie sono state centrali durante l’autogestione della città di Oaxaca nel 2006, ma sono state completamente ridefinite dalla partecipazione delle donne che ha imposto il tema del genere come elemento centrale, e non semplicemente accessorio, della rivolta politica.
Cosa ci può dire, oggi, la APPO?
La APPO è stato un momento insurrezionale che va letto attraverso il prisma delle sue eccedenze, del suo sedimento. Le soggettività politiche, i corpi che hanno combattuto in ogni strada sono legati a una lunga storia messicana e, al tempo stesso, non sono contenibili nella tradizione politica che ha animato le lotte in Messico. Di fronte alla figura omogenea del “lavoratore salariato”, Oaxaca ha sancito l’irriducibilità del proletariato alla “classe operaia”. Indigeni, donne e tradifas sono soggetti politici che non possono essere ridotti né al “soggetto rivoluzionario” della tradizione marxista-leninista, né all’indigeno che ritorna alle sue origini perdute. E’ solo sbarazzandoci di questo eurocentrismo che riusciremo a cogliere la natura nuova e intrinsecamente conflittuale di tali soggettività, nate da uno scontro che ha radici storiche millenarie e che tuttavia sempre si ripropone in termini nuovi.
E non è un caso che la stessa Escuelita zapatista abbia dato una particolare attenzione proprio al ruolo delle donne e alla difficoltà del percorso verso la loro autodeterminazione dentro il movimento. Nella variegata geografia della modernità messicana, in cui la sudditanza al capitale finanziario e nuove violentissime forme di espropriazione dei terreni coesistono in un medesimo meccanismo, ogni tentativo di omogeneità è totalitario. E’ forse l’articolare in maniera non gerarchica le forme di lotta senza volerle riassumere in alcuna avanguardia o soggettività il senso profondo dell’utopia zapatista di “un mondo in cui coesistono tanti mondi”.
E, lo ripetiamo, in questo processo di articolazione non c’è nessuna “purezza” da difendere, nessuna “semplicità del vivere a contatto con la terra” da rivendicare: c’è piuttosto un intersecarsi di tensioni che attraversa soggettività che continuamente si reinventano all’interno di un conflitto che dura da secoli. Ci chiederemo dunque: che cosa significa la difesa della terra in termini di resistenza al capitalismo? Com’è cambiato questo rapporto con la ristrutturazione neoliberale degli anni ottanta? Ha davvero senso pensare all’autonomia come modello rigido esportabile ovunque? Crediamo sia questa la prospettiva, scevra da ogni pauperismo romantico, attraverso cui guardare con interesse e speranza ciò che si muove ora in territorio zapatista, in particolare all’incontro del 31 Maggio. E per volere ancora, ad ogni latitudine, “para todos la luz, para todos todo”.
Link: Riassunto/Cronologia APPO-Oaxaca 2006: Parte I – II – III