di Alexik

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Nel luglio 2012 gli arresti (ovviamente domiciliari) di Emilio e Nicola Riva, assieme alla prospettiva del sequestro giudiziario dell’area a caldo del siderurgico tarantino, si abbatterono sulla politica locale e nazionale con l’effetto di un cataclisma.

Governo e Regione assistettero con sgomentato stupore ad un evento tanto imprevisto quanto inaudito: qualcuno in Procura non era più disposto a farsi coglionare dai Riva all’infinito, ad accettarne la pervicace recidiva dopo le reiterate condanne per reati ambientali, ad accontentarsi di interventi cosmetici al posto di un reale risanamento del siderurgico.

Per impedire l’orrida prospettiva dei sigilli allo stabilimento, quell’estate scesero dall’empireo romano tutti i numi tutelari dei padroni delle ferriere, a cominciare dai ministri Passera1 e Clini2, sorretti dallo schieramento bipartisan delle forze politiche che nel corso degli anni patron Riva aveva generosamente foraggiato3.  Si era all’inizio di un duro scontro fra poteri istituzionali, che avrebbe visto il governo Monti e i vertici degli enti locali contrattare con l’Ilva gli interventi per bypassare la Procura di Taranto, tentando di bloccare per via politica/amministrativa le decisioni del Gip Patrizia Todisco.  Su questo terreno anche la Regione Puglia non fece mancare il suo apporto, distinguendosi per l’iperproduzione di provvedimenti che, al di là del loro contenuto tecnico, vennero unanimemente considerati come un tentativo di evitare il  fermo degli impianti da parte della magistratura4.

Eppure le perizie5 chimica ed epidemiologica a supporto delle decisioni del Gip avevano disvelato con semplicità e crudezza che l’Ilva uccideva ancora e non aveva mai smesso nemmeno dopo i vari protocolli di intesa, dopo le leggi regionali antinquinamento, dopo i “numerosi interventi di ambientalizzazione” osannati dal governatore pugliese. Le perizie mettevano spietatamente a nudo l’inconsistenza dei risultati delle politiche ambientali contrattate negli anni con il potere industriale, demolivano a colpi di realtà la retorica con cui tali politiche erano state ammantate.

I nuovi provvedimenti regionali non si ponevano certo in discontinuità con questo passato fallimentare, a cominciare dal Protocollo di intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto6 siglato il 26 luglio 2012 da Regione e Ministeri. In realtà il protocollo, smentendo il parere di quei malevoli che ne sostenevano l’inefficacia, diede immediatamente un primo risultato tangibile: quello di fornire l’inequivocabile dimostrazione che della magnitudine e gravità del problema, governatore e ministri non avevano ancora capito un cazzo.

coniglio-cilindroCol Protocollo venne annunciato al popolo lo stanziamento di 336 milioni di euro, di cui 100 regionali, il resto dello Stato e solo 7,2 di parte privata. In realtà si trattava – per un terzo della somma – di risorse già assegnate negli anni precedenti per interventi promessi e mai attuati. Ventuno milioni per il risanamento del Mar Piccolo dal Pcb – la tossica eredità dell’Arsenale Militare – erano già stati stanziati (e poi persi) nel 2006,  mentre  79 milioni per la riqualificazione ambientale dell’area SIN di Taranto erano nelle previsioni di un altro protocollo del 2009.

Insomma, i fondi per le bonifiche somigliavano agli aerei delle parate militari di Mussolini, nel senso che erano sempre gli stessi che giravano. Ma soprattutto, la somma con cui si prometteva di aggredire l’inquinamento tarantino appariva del tutto ridicola di fronte ai veri costi di ambientalizzazione e bonifica dell’Ilva, che da lì a poco sarebbero stati stimati dalla Procura in otto miliardi di euro (giustamente posti a carico dei Riva).  Tre mesi prima, il governo aveva stanziato soldi veri, cinque miliardi, per il disinquinamento e la riconversione produttiva di Porto Marghera7.

Lo scarto fra le cifre necessarie e quelle annunciate era segno di una grave responsabilità politica. Del fatto cioè che nessuna istituzione, nazionale o locale, si era mai posta il problema non dico di risolvere, ma nemmeno di scomodarsi a valutare l’entità del disastro ambientale a Taranto, del quale si continuava ad ignorare anche l’ordine di grandezza. Figuriamoci, quindi, se tali istituzioni avessero una pallida idea su aspetti più complessi, quali ad esempio le modalità operative di un ipotetico risanamento della discarica interna all’Ilva (la Mater Gratiae), il cui percolato tossico si avvicina sempre più alla falda acquifera, o dei terreni agricoli inquinati dalla diossina nel raggio di 20 km dal camino E312, o dei fanghi chimici scaricati a iosa nel Mar Grande.

Dunque, di che cosa si  stavano riempendo la bocca in quel luglio tarantino?  Qualcuno provò anche ad andarlo a chiedere al “rivoluzionario gentile”, ma, alla faccia delle gentilezza, venne sommariamente tacciato di “ambientalismo fondamentalista e isterico8.

Comunque, anche se del tutto insufficienti per le bonifiche, al governatore e al ministro 336 milioni da sbandierare come propaganda bastavano, almeno per assegnarsi il ruolo salvifico di valorosi nocchieri in grado di portare Taranto fuori dalla tempesta.  Alla Regione venne data la guida della cabina di regia per l’utilizzo dei fondi, una sorta di “guardia al bidone vuoto”, considerando il fatto che il patto di stabilità ne avrebbe a lungo impedito l’utilizzo9. Oggi, a un anno e mezzo di distanza, per gli  “interventi urgenti” di bonifica del Mar Piccolo non sono state ancora scelte nemmeno le metodiche10.

Tornando a quei giorni di luglio, la Regione partorì anche la Legge n. 21/201211, “Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate a elevato rischio ambientale” . Essa introduceva la valutazione del danno sanitario (VDS), che a detta del governatore sarebbe diventata un “parametro cogente per valutare se un’impresa che non si ambientalizza debba restare o meno in vita” .

Detta così poteva sembrare una figata, una nuova arma per obbligare l’Ilva a smettere d’uccidere, pena la chiusura. Peccato che la Giunta Vendola, dalla legge sulla diossina in poi, si fosse specializzata nella costruzione di armi che, al momento della battaglia venivano riposte dentro il fodero. Questa in particolare, poi, presentava già nei suoi presupposti un pericolosissimo doppio taglio.

Maschere 8La valutazione del danno sanitario, sulla base della quale la Regione avrebbe formulato i suoi pareri nei procedimenti di autorizzazione integrata ambientale, doveva infatti basarsi sulle mappe epidemiologiche delle principali malattie causate dall’inquinamento industriale, mappe che all’epoca non esistevano e che oggi, a parte il registro tumori, ancora non esistono. Con questa premessa si ponevano le basi non per la valutazione, ma per una pesante sottostima del danno sanitario, soprattutto per quello non cancerogeno, e di conseguenza per pareri autorizzatori tali da permettere alle industrie di provocare ulteriormente malattia e morte.  L’anno seguente i risultati della prima VDS sullo stabilimento Ilva avrebbero confermato in pieno questa fosca previsione (nel dettaglio leggi qui).

Intanto, in quell’estate calda del 2012, a Taranto scoppiava il delirio. Il 26 luglio un’ordinanza del Gip disponeva il sequestro preventivo senza facoltà d’uso degli impianti, affidandoli a tre custodi giudiziari. L’azienda rispondeva sfruttando l’angoscia di migliaia di operai per bloccare la città, facendo organizzare gli scioperi dai capi reparto, con tanto di fornitura di kit dello scioperante (trombette da stadio, striscioni preconfezionati) e con la promessa – poi non mantenuta – della giornata pagata12. Strani scioperi, che coesistevano con la produzione del siderurgico tirata al massimo.

Scesero in campo per spalleggiare l’Ilva le maggiori forze politiche ed il governo tutto, uniti nella corale evocazione di scenari catastrofici per l’intera economia nazionale e dall’apprensione accorata per la sorte dei lavoratori. Un po’ sospetta, per la verità, visto che lo stesso governo aveva appena gettato sul lastrico 314.576 esodati, e senza grossi patemi. I media spinsero la drammatizzazione ai massimi livelli ipotizzando la perdita fino a 100.000 posti di lavoro13, anche se i dipendenti dell’Ilva Spa in tutto il mondo erano circa in 16.300. Veniva enfatizzata la falsa contrapposizione fra ambiente e lavoro, fra interessi degli operai e quelli della città, esponendo i tarantini, oltre che all’inquinamento consueto, ad un’altissima concentrazione di cazzate, una nocività cerebrolesiva per la quale, purtroppo, nessuno ha mai fissato dei valori limite.

Si ometteva di dire che la vera minaccia per il lavoro a Taranto non era la Gip Todisco, ma l’obsolescenza degli impianti, mandati in malora dalla cronica carenza di investimenti. Si ometteva di dire che per Decisione 2012/135/UE, entro marzo 2016 il siderurgico doveva essere comunque già adeguato alle migliori tecnologie disponibili (BAT). Pena la chiusura, imposta non da un tribunale ma dai padroni dell’acciaio nord europei – Germania in testa – poco disposti a subire il dumping ambientale del nostro capitalismo straccione.

Paradossalmente il sequestro giudiziario dell’area a caldo fino a risanamento avvenuto (riconfermato il 7 agosto dal Tribunale del riesame) non era solo una scelta obbligata dal punto di vista sanitario e ambientale, ma anche l’unica scelta sensata dal punto di vista industriale.  La Procura stava suo malgrado supplendo alla completa assenza di una politica industriale in questo paese, obbligando i Riva a giocare a carte scoperte sulle reali prospettiva dello stabilimento in vista del 2016:  volevano continuare così, spremendo il limone fino all’esaurimento,  oppure rilanciare investendoci dei soldi grossi ? Altrove, nel mondo, la siderurgia puntava sulle tecnologie Corex e Finex, che abbattono il 90 % degli inquinanti eliminando le fasi della cokefazione e dell’agglomerato. Non qui. Come avrebbe presto dimostrato la guardia di finanza, i soldi grossi dei Riva prendevano la strada delle isole di Jersey14, non certo quella dell’innovazione di processo.

In settembre i custodi giudiziari, bocciando il piano di risanamento presentato dall’Ilva, prescrissero l’adozione di misure drastiche, del tipo: coprire i parchi minerali; spegnere e rifare da capo 7 batterie della cokeria, gli altiforni 1 e 5 e l’acciaieria 115. Poteva essere l’occasione per ristrutturare lo stabilimento da cima a fondo, ma  i Riva, per bocca del nuovo A.D. Ferrante, scelsero la continuità, promettendo quattro spiccioli e ritocchi superficiali.

Maschera 9La politica nazionale e locale gli resse il gioco: a fine ottobre  il riesame dell’AIA recepiva sostanzialmente il piano dell’Ilva, soprattutto rispetto ai lunghi tempi di attuazione dei provvedimenti più importanti e costosi.  La fermata e il rifacimento dell’Altoforno 5 (quello più inquinante) che i custodi chiedevano da subito, veniva rimandata a fine giugno 2014, mentre per la copertura dei parchi primari si accordavano all’azienda ancora tre anni.

Il rione Tamburi, ancora per tre anni, poteva schiattare di polveri.

L’AIA 2012 riportava i limiti alla produzione di acciaio da 15.000 tonnellate annue a 8.000, una prescrizione a cui l’azienda non fece alcuna fatica ad adeguarsi, visto che a ridurre i volumi produttivi entro quei livelli ci aveva già pensato la crisi.  La nuova autorizzazione vietava l’uso e stoccaggio del pet coke, precedentemente autorizzato dalla Prestigiacomo, e questa era una buona notizia, come quella della copertura completa dei nastri trasportatori e degli interventi previsti per gli edifici di cokeria, altoforni, agglomerato per limitare le emissioni fuggitive.

Venivano recepite le richieste della Regione Puglia sull’arretramento e abbassamento dei cumuli di minerali e fossili rispetto agli abitati, e le disposizioni per i “wind days”. Queste comprendevano la riduzione delle attività della cokeria, della movimentazione di materiali polverosi e della velocità dei mezzi pesanti nei giorni in cui il vento spingeva le schifezze dell’Ilva verso la periferia della città.  Tutte misure sensate, ma la cui osservanza da parte dell’azienda è difficilmente controllabile dall’esterno.

Nei wind days andava raddoppiata bagnatura e filmatura dei cumuli di materiali polverosi in stoccaggio, provvedimento che, oltre ad essere considerato dagli operai addetti ben poco efficace,  scaricava ulteriore inquinamento al suolo e nelle acque superficiali, anche perché i depositi Ilva non sono dotati di impianti di raccolta e trattamento delle acque di prima pioggia16.

L’efficacia dell’insieme di queste misure venne documentata dal servizio delle Iene del settembre 2013, a un anno di distanza dalla conclusione dell’Aia. Le immagini e le interviste mostravano con chiarezza come sul rione Tamburi calassero ancora nubi nere e pesanti, e come il cambio di direzione del vento continuasse a coincidere  con l’assalto agli ambulatori pediatrici per le crisi respiratorie dei bambini.  Eppure lo spostamento dei parchi minerali, la bagnatura e filmatura dei cumuli, le misure nei “wind days” risultavano dalle carte17 come cosa fatta. A qualcuno sorge il dubbio che non servissero a una ceppa, se non a rimandare la copertura dei parchi minerali .

Nel servizio di Nadia Toffa si vede chiaramente che della annunciata bonifica del quartiere non vi è nessuna traccia, che i nastri trasportatori carichi di materiali viaggiano ancora scoperti sulla città, che lo slopping (nuvole rosse dall’acciaieria) e le emissioni fuggitive dagli impianti continuano esattamente come prima (guarda il servizio qui).

Comunque, nonostante la nuova Aia fosse un ennesimo regalo ai Riva, la  Regione Puglia diede il parere favorevole di rito18, ottenendo che fosse previsto il riesame dell’autorizzazione nel caso la Valutazione del danno sanitario dimostrasse delle criticità.  Nel maggio seguente,  nel primo “Rapporto sulla valutazione del danno sanitario per stabilimento Ilva di Taranto” le criticità per il rischio cancerogeno venivano dimostrate eccome:

La valutazione del rischio cancerogeno inalatorio delle emissioni 2010 dello stabilimento ILVA di Taranto evidenzia che per una popolazione di circa 22.500 persone residenti a Taranto … le probabilità aggiuntive di sviluppare un tumore nell’arco dell’intera vita, è superiore a 1:10.000. Considerando lo scenario in cui tutte le prescrizioni previste dall’AIA siano attuate, la popolazione esposta a tale livello di rischio si riduce a circa 12.000 residenti” 19.

In pratica, ammesso e non concesso che tutte le prescrizioni dell’Aia 2012 venissero attuate (tralasciando, quindi, le numerose inadempienze in merito certificate dall’Ispra), nel 2016, al termine degli interventi di adeguamento, 12.000 tarantini rimarrebbero comunque esposti a un rischio cancerogeno non accettabile.

Ce ne sarebbe stato abbastanza per far richiedere alla Regione una revisione dell’Aia, ma anche questa volta, piuttosto che dare battaglia, l’arma venne lasciata nel fodero. (Continua)

 


  1. Il debito di Passera nei confronti di Emilio Riva risale al 2008, quando il patron dell’Ilva  investì 120 milioni nell’operazione Alitalia, sponsorizzata dall’ex  A.D. di Banca Intesa  

  2. Corrado Clini, ai tempi in cui era Direttore generale del ministero dell’ambiente, veniva  definito nelle intercettazioni come “un uomo nostro” dal responsabile delle pubbliche relazioni dell’Ilva Girolamo Archinà.  Vedi: La nota della Gazzetta, La Gazzetta del Mezzogiorno. 

  3. Negli anni 2004-2006  Riva elargì 575mila euro a Forza Italia, 10mila a Maurizio Gasparri e 35mila all’ex governatore della Puglia e poi ministro Raffaele Fitto. Nel 2006/2007 finanziò la campagna elettorale del PdL con 245.000 euro, quella di Bersani con 98.000 euro . L’ex parlamentare PD Ludovico Vico prese 49 mila euro . 

  4. Lello Parise, Ilva, legge in extremis contro lo stop, La Repubblica sez. BARI, 17 luglio 2012. 

  5. Annibale Biggeri, Maria Triassi, Francesco Forastiere, Conclusioni perizia epidemiologica sull’ILVA di Taranto, 2012. M. Sanna, R. Monguzzi, N. Santili, R. Felici, Conclusioni della perizia chimica sull’Ilva di Taranto, 2012. 

  6. Protocollo di intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto, 26 luglio 2012 

  7. Accordo su Porto Marghera. Investimenti per cinque miliardi, Corriere del Veneto, 16 aprile 2012 

  8. Manolo Lanaro, Ilva, Vendola:Contro industrialismo cieco e ambientalismo isterico”, Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2012. 

  9. Bonifiche Taranto. Nicastro: I soldi sono in cassaforte, ma non ci danno le chiavi, Comunicato stampa della Giunta regionale del 24 Maggio 2013. 

  10. Bonifica Mar Piccolo: Confcommercio chiede certezze, Inchiostro Verde, 5 febbraio 2014.  

  11. Legge Regionale 24 luglio 2012, n. 21 

  12. Comitato Cittadini e Lavoratori liberi e pensanti di Taranto, ILVA: a proposito di scioperi e blocchi stradali … “telecomandati”

  13. La stima è quella di Oscar Giannino, che nello stesso articolo del Messaggero del 12/08/12 scriveva che l’impianto dell’Ilva rappresentava il 75 % del PIL della Provincia …….. DI BRINDISI (!!!!), dimostrando una profondissima conoscenza del territorio e dei temi trattati. 

  14. Roberto Galullo, Con la crisi la ricchezza “vola” nei paradisi fiscali, Il Sole 24 Ore, 13 luglio 2013. 

  15. Francesco Casula, Taranto, il piano dell’Ilva bocciato dai custodi: ecco i motivi, Il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2012. 

  16. Alessandro Marescotti, Ilva, dove finiscono le acque piovane? E quelle dei fog cannon?, da Peacelink, 12 agosto 2013. 

  17. Ispra, Tabella riassuntiva trimestrale stato di attuazione  prescrizioni ad esito verifica ISPRA, maggio 2013, p. 58. 

  18. Deliberazione della Giunta regionale, 16 ottobre 2012, n. 2065.  

  19. Arpa Puglia. Rapporto sulla valutazione del danno sanitario – stabilimento Ilva di Taranto. ai sensi della LR 21/2012. Scenari emissivi pre-AIA (anno 2010) e post-AIA (anno 2016), maggio 2013, p.97.