di Claudia Cernigoi
Trieste si è dimostrata una volta di più una città particolare: in Italia si vuole cacciare via la “casta”? noi di più, a Trieste c’è un movimento che vuole direttamente mandarla via, l’Italia. Si tratta del Movimento Trieste Libera (MTL), che domenica 15 settembre ha portato in piazza, in nome del ripristino del Territorio Libero di Trieste, così come sancito dal Trattato di pace del 1947, 5.000 persone (stima della scrivente, la Questura ne ha stimate 3.500, così riportate dal quotidiano locale “il Piccolo”, mentre gli organizzatori hanno parlato di 6.000 ed anche 8.000, a mio parere non molto credibili), comprese delegazioni della Liga Veneta e dall’ex Zona B.
Considerando che la manifestazione per Trieste italiana del mattino (organizzata da un Comitato Trieste Pro Patria, supportato da destre di vario tipo, più o meno radicali e più o meno moderate, dalla Lega nazionale e dalle associazioni degli esuli giuliano-dalmati, più i redivivi PLI e PSI) ha mobilitato non più di 300 persone (sempre stima della scrivente, le stime ufficiali ne davano intorno ai 200), ciò dovrebbe quanto meno aprire delle perplessità sul sentimento patriottico della Trieste di oggi nei confronti dell’Italia.
Un movimento che si definisce “né di destra né di sinistra” e che comprende per lo più “gente della strada”, l’Uomo (e la Donna, ovvio) Qualunque sono stati resuscitati, merito dei guru dell’indipendentismo che hanno convinto i triestini che l’unica soluzione per ridare vita alla città sia staccarsi dall’Italia.
Con i dovuti distinguo, che approfondiremo poi, l’idea non è originale, anche la Lega Nord, la Liga Veneta, le Leghe meridionali, quanti altri erano e sono tuttora convinti che la panacea per il rilancio delle economie locali sia uscire dal controllo di “Roma ladrona”? sarà casuale che negli ultimi mesi una sessantina di comuni del Veneto abbiano chiesto un referendum per uscire dall’Italia? (referendum che, va precisato, non può svolgersi legalmente, dato che costituisce reato la propaganda per staccare parti d’Italia dal territorio nazionale).
Il caso del TLT è però diverso, perché il Territorio Libero di Trieste era stato costituito dal Trattato di pace del 1947, firmato anche dall’Italia, che quindi aveva accettato il distacco delle allora Zone A e B dal territorio italiano. In sintesi, il trattato di pace, oltre a delimitare i confini tra Italia e Jugoslavia, aveva creato un piccolo stato autonomo amministrato provvisoriamente (in attesa della nomina di un Governatore da parte delle Nazioni Unite) da governi militari Alleati; lo staterello comprendeva l’attuale provincia di Trieste (Zona A con amministrazione angloamericana) ed una parte dell’Istria, fino alla linea del fiume Quieto (Mirna, oggi in Croazia), amministrata dalla Jugoslavia (Zona B). In tutto un territorio di poco più di 700 kmq., con capitale Trieste.
Successivamente, con il Memorandum di Londra del 1954, i due territori erano stati affidati in amministrazione fiduciaria ad Italia e Jugoslavia, che poi con il Trattato di Osimo del 1975 avevano sancito il ritorno definitivo della sovranità italiana e jugoslava sulle due zone in amministrazione; e qui facciamo subito chiarezza anche su un’altra bufala che viene fatta girare (non solo dal MTL ma anche dalla destra irredentista che non ha mai accettato che l’ex Zona B sia passata alla Jugoslavia – oggi Slovenia e Croazia): non è vero che il Trattato di Osimo non è mai stato ratificato, la ratifica è avvenuta con la Legge n. 73/77 d.d. 14/3/77.
Ora, prima di prendere in mano i documenti per capirne di più, facciamo un breve excursus storico.
L’origine storica del progetto di un Territorio Libero intorno alla città di Trieste può essere fatto risalire alla primavera del 1944, quando, in preparazione di un convegno con i dirigenti dell’Osvobodilna Fronte (OF, il Fronte di Liberazione sloveno a Trieste), il Comitato di Liberazione Alta Italia (CLNAI) era intenzionato a chiedere, come da indicazioni britanniche, che Trieste fosse dichiarata “città libera” e non che ritornasse all’Italia, perché questo era l’unico modo per impedire che passasse alla Jugoslavia. Tale progetto (“Trieste città libera”) era stato concepito dopo colloqui tra il conte Carlo Sforza (ministro degli esteri nel governo Badoglio) e gli azionisti Leo Valiani e l’avvocato triestino Emanuele Flora. Nello stesso periodo un ambiguo personaggio triestino, Giorgio Bacolis, massone e sedicente pastore metodista (della Chiesa wesleyana, collegata alla massoneria) aveva dato alle stampe un pamphlet intitolato “Libera Trieste” e cercato contatti con il CLNAI proprio su queste basi, ma si rivelò poi essere un informatore dell’Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia, pagato dal commissario Gaetano Collotti per fare arrestare diversi esponenti del CLN giuliano e di un “Comitato Trieste città libera”, del quale troviamo notizie proprio tra i documenti conservati da Collotti nella sua fuga da Trieste e sequestrati dai partigiani di Treviso che lo arrestarono (e fucilarono) negli ultimi giorni di guerra. Copia di questi documenti si trova ora presso l’Archivio dell’ANPI di Trieste (Busta 10) ed in essi leggiamo che il “Comitato Trieste città libera” era stato costituito in città da elementi azionisti italiani e da antifascisti sloveni che intendevano “mettersi sotto la protezione degli angloamericani, che li aiuterebbero affinché Trieste diventi porto franco”, non avevano preclusioni a collaborare con l’OF, ed avevano contatti con il CLNAI e gli angloamericani a Milano, che nel novembre 1944 li finanziarono con ben 25 milioni di lire per la loro attività.
Tra gennaio e febbraio 1945 Collotti operò diversi arresti e nel corso delle sue indagini venne a scoprire che in città esisteva un (citiamo dai suoi rapporti) “gruppo austriacante che sotto gli alti auspici del Gauleiter Rainer – traditore del Reich – tendevano ad una Trieste rientrata in seno all’impero Austriaco risorto sullo sfacelo del Reich”. In pratica le autorità naziste (di nazionalità austriaca e non germanica), in collaborazione col prefetto (di nomina nazista) Bruno Coceani avrebbero avuto il progetto (del quale facevano parte anche industriali triestini come gli armatori Cosulich) per salvare il salvabile contattando gli angloamericani al momento della caduta del Reich, progettando per Trieste una sorta di protettorato austriaco con il beneplacito degli Alleati occidentali.
Tale progetto, come visto, non si è mai realizzato, ma negli anni è sempre esistito a Trieste un Movimento indipendentista, dal vecchio Movimento TLT fondato da Giovanni Marchesich (più volte eletto al Consiglio comunale), alle variazioni sul tema del figlio Giorgio Marchesich, che dopo avere tenuto in piedi il movimento per alcuni anni aderì prima alla Lista per Trieste e poi alla Lega Nord; successivamente rifondò il movimento indipendentista come Nord Libero e poi come Fronte Giuliano; negli ultimi anni si è dedicato alla formazione dei Volontari Verdi del Triveneto (presidente, nel 2009, Mario Borghezio) “ovvero la componente indipendentista della Lega Nord” (qui).
Interessante connection nel 1997 quella che vide come portavoce del Fronte Giuliano l’attuale direttore del periodico neoirredentista L’Arena di Pola nonché asserito “segretario” di un sedicente Libero Comune di Pola in esilio, il giornalista radicale (in passato radicale antiproibizionista, poi radicale trasversale) Paolo Radivo, quando tra Fronte Giuliano e vari esponenti dell’associazionismo degli esuli istriani vi fu un’unità di intenti sulla proposta di ricreare il Territorio Libero, come testa di ponte per (si legge in un loro volantino dell’epoca) il “resto dell’Istria, a Fiume e alla Dalmazia, se diventassero delle Repubbliche indipendenti, gli esuli potrebbero tranquillamente farvi ritorno assumendone anche la rispettiva cittadinanza, finalmente liberi dal giogo colonialista zagabrese”.
Nella memoria e nell’immaginario triestino il mito del TLT è rimasto vivo e presente, considerando anche il fatto che da quando l’Italia è ritornata a Trieste ha fatto di tutto per affossare l’economia locale, relegando una città che era stata il porto della Mitteleuropa, industriosa e commerciale, ad una città costretta a vivere di commercio al minuto e di assistenzialismo, con le fabbriche che chiudevano una dopo l’altra, la dismissione dei cantieri e l’abbandono della portualità, che provocarono l’emigrazione di migliaia di triestini negli anni ’50, diretti in America e soprattutto in Australia (si parla tanto dell’esodo istriano dai territori ceduti alla Jugoslavia, ma nessuno parla dell’esodo dei triestini costretti ad emigrare per il ritorno dell’Italia – “la madre ritorna, i figli partono”, si diceva a quei tempi).
È sempre esistito quindi uno zoccolo duro di filo indipendentisti, in ricordo del periodo tutto sommato positivo del Governo Militare Alleato, alimentato dal sogno di una Trieste come Montecarlo o come Singapore (!), ma il Movimento Trieste Libera stavolta sembra essere riuscito ad andare oltre a tutto quanto si è visto nel passato. Un fenomeno curioso, da analizzare.
Dopo alcune iniziative di carattere ambientalista organizzate dal movimento Greenaction Transnational di cui Roberto Giurastante era il portavoce, il gruppo iniziò a parlare di non sovranità italiana sul TLT e pertanto della non legittimità delle scelte in materia ambientale dello Stato italiano. Nel 2011 il Comitato per il Porto Libero di Trieste (Free Port Trieste) diede vita ad una serie di iniziative pubbliche per contestare la sovranità italiana sul TLT soprattutto in riferimento all’uso del Porto vecchio, e successivamente si costituì il Movimento Trieste Libera, che vide il sostegno stampa del settimanale La Voce di Trieste diretto dal giornalista Paolo G. Parovel.
Un paio di anni fa si svolse la prima festa di “Trieste Libera”, con un’interessante mostra sul periodo del Governo Militare Alleato, ed un buon successo di pubblico, che faceva la fila per farsi rilasciare le carte d’identità del Territorio Libero.
I nomi degli attuali organismi dirigenti non si trovano nel sito Trieste Libera, ma si trovano in un articolo pubblicato l’estate scorsa: presidente Stefano Ferluga (già nella Lega Nord ma uscito perché “deluso”), vicepresidente Sandro Gombač (con un passato in 5 Stelle, e con una candidatura con la lista dei comitati di quartiere La Tua Trieste), segretario Vito Potenza “e poi ci sono Arlon Stok, Adriano Ciacchi, Roberto Giurastante” (qui).
L’exploit però si è visto da circa un anno in qua, dopo una manifestazione contro il previsto insediamento di un rigassificatore nel Golfo di Trieste (problema che sussiste tuttora, sia detto per inciso) che ha visto un migliaio di persone marciare una domenica mattina del novembre scorso, e (sarà casuale?) dopo l’inizio della campagna contro il pagamento dei tributi (imposte e tasse) all’Italia, in quanto la stessa non avrebbe sovranità sul TLT.
A questo punto prendiamo in mano i documenti.
Nello Statuto del TLT (D.L. del C.P.S. 28/11/47, pubblicato in Supplemento alla Gazzetta Ufficiale n. 295 d.d. 24/12/47) leggiamo che dall’art 21 del Trattato di pace “la sovranità italiana sulla zona costituente il Territorio Libero di Trieste (…) cesserà con l’entrata in vigore del presente trattato” (va precisato che in Italia è entrato in vigore appena il 25/11/52) e che “dal momento in cui la sovranità italiana (…) avrà cessato di esistere il TLT sarà governato in conformità di uno Strumento per il regime provvisorio redatto dal Consiglio dei ministri degli esteri e approvato dal Consiglio di Sicurezza (…) resterà in vigore fino alla data che il Consiglio di sicurezza determinerà per l’entrata in vigore dello Statuto permanente”.
Nel frattempo “fino all’assunzione dei poteri da parte del Governatore” (Governatore che avrebbe dovuto essere nominato “dal Consiglio di sicurezza dell’Onu”), il TLT “continuerà ad essere amministrato dai Comandi militari alleati, entro le rispettive aree di competenza” (cioè gli Angloamericani nella Zona A e gli Jugoslavi nella Zona B).
In pratica è successo questo. Cessata la sovranità italiana sul TLT (comprendente sia Zona A sia Zona B), l’amministrazione è passata ai Comandi alleati in attesa che l’ONU nominasse il Governatore, nomina che non è mai avvenuta, finché, con la firma del Memorandum del 1954 l’amministrazione della Zona A è passata all’Italia (la Zona B è rimasta amministrata dalla Jugoslavia, con amministrazione civile) e poi con il Trattato di Osimo sono state ripristinate la sovranità italiana e jugoslava sui territori amministrati. Che tale situazione assomigli ad una appropriazione indebita aggravata (non sembra molto corretto che l’amministratore si pappi i beni che amministra) è un dato di fatto, ma sta di fatto anche che se il TLT non è mai stato realizzato, perché mai è stato nominato il Governatore, la responsabilità è esclusivamente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la tanto conclamata ONU che dovrebbe tutelare i diritti degli indipendentisti triestini. E considerando che uno Stato non può rimanere amministrato fiduciariamente all’infinito, per uscire dalla situazione di impasse che era stata creata per la mancata nomina del Governatore e di tutto il resto che avrebbe dovuto dare vita al TLT (l’Assemblea costituente che doveva redigere la Costituzione del TLT), non ci si può neppure scandalizzare troppo se a trent’anni dalla fine della guerra le Zone A e B siano state inglobate definitivamente dagli Stati che le amministravano, per dare una certezza giuridica al tutto.
Un altro problema sollevato dagli indipendentisti è che se l’Italia non ha la sovranità sul TLT non ha neppure diritto di riscuotere i tributi in questo territorio. Di norma, però, quando uno Stato amministra un territorio, deve poter avere delle entrate per fornire i servizi di cui il territorio ha bisogno, dalle scuole alla sanità, dal personale amministrativo alle forze di sicurezza, alla manutenzione delle strade eccetera. Ciò non è mai stato messo in discussione da nessuna normativa, e pure lo Statuto che abbiamo citato prima prevede che fino al momento in cui il TLT non sarebbe stato in grado di battere moneta propria, la moneta corrente sarebbe stata la lira italiana.
Ma se oggi il Consiglio di Sicurezza dell’Onu nominasse finalmente il Governatore (in altre occasioni il diritto di veto esercitato da alcune potenze ha impedito la discussione in materia), il TLT potrebbe essere realizzato? In questi giorni si parla molto di uno scambio di mail con gli uffici dell’Onu (che però non sembrano essere risoluzioni ufficiali), dalle quali risulterebbe che l’ONU avrebbe riconosciuto la sovranità italiana su Trieste, circostanza smentita dai portavoce del MLT.
Il problema in ogni caso non è solo italiano, il TLT dovrebbe comprendere anche territori oggi compresi nella Slovenia e nella Croazia: e ci domandiamo se Italia, Slovenia, Croazia rinuncerebbero così facilmente ad un pezzo consistente del loro territorio nazionale (soprattutto la Slovenia, che dovrebbe rinunciare al suo sbocco sul mare, Koper), oppure se manderebbero le truppe (se l’Italia lo fa in Val Susa non si vede perché non potrebbe farlo a Trieste), e ci troveremmo in una situazione kosovara, con la necessità di fare intervenire i caschi blu (ammesso che questi siano disposti ad intervenire).
O, se per ipotesi i tre Stati dovessero accettare serenamente questa scelta, come pensa il MTL di gestire questo territorio? Che fine farebbero le centinaia di impiegati pubblici, dagli insegnanti agli ospedalieri, agli amministrativi, che non sarebbero più dipendenti italiani? E le poche industrie rimaste, spesso foraggiate dallo Stato, che fine farebbero? Per non parlare del fatto che “cittadini originari” del TLT (stando allo Statuto sopra menzionato) sarebbero soltanto coloro che “erano domiciliati il 10 giugno 1940 nell’area compresa nei confini del Territorio Libero, e i loro figli nati dopo questa data”; e dopo avere acquisito la cittadinanza del Territorio Libero “perderanno la loro cittadinanza italiana”. E tutti gli altri? Se non opteranno per la cittadinanza italiana (e di conseguenza dovranno andare via dal territorio), potranno diventare cittadini del TLT solo in seguito a richiesta specifica, dove le condizioni per ottenere la cittadinanza potranno essere determinate dall’Assemblea Costituente del Territorio Libero ed inserite nella Costituzione, cioè con criteri ancora tutti da decidere, dato che prima della nomina del Governatore non può essere costituita alcuna Assemblea. In pratica, considerando l’attuale composizione della popolazione triestina, ci troveremmo davanti o ad uno spopolamento del territorio, oppure alla situazione grottesca di una maggioranza di persone che non avrebbero diritti civili nella zona in cui vivono da decenni. E ci domandiamo se le migliaia di sostenitori del MTL sono tutti “cittadini originari”, dovee nel contesto non è del tutto peregrino quanto sostiene il Prefetto di Trieste, che se i cittadini del TLT non riconoscono la sovranità italiana in materia fiscale non dovrebbero neppure incassare stipendi e pensioni pagati dallo Stato italiano…
Infine, per quanto concerne la supposta rinascita economica, siamo sicuri che ci sarebbe immediatamente qualcuno che verrebbe qui ad investire in chissà che cosa, dato che il Porto necessita comunque di modifiche sostanziali di adeguamento ai canoni moderni?
Torniamo a parlare dei militanti del MTL che sono peculiari anche per altri motivi. Colpisce infatti che a fronte di una perfetta organizzazione di “eventi” (feste, manifestazioni, cortei), che richiede una regia di esperti in materia, il Movimento non abbia dei leader politici veri e propri (non ce ne voglia Giurastante, che stimiamo per le sue battaglie ambientaliste e di legalità, ma non ce la facciamo a definirlo un leader, né pensiamo che lui ci tenga ad una definizione del genere); non presenta (almeno pubblicamente) delle persone che delineano una linea politica ed economica che vada oltre alla dichiarazione di indipendenza, dicendo che al resto si penserà dopo.
Ciononostante il 15 settembre in piazza sono scese 5.000 persone che hanno marciato per due ore, inneggiando all’indipendenza e al mandare via l’Italia, una massa eterogenea di persone di tutte le età, moltissimi giovani, famiglie coi bambini, con i cani, anziani in carrozzina, quasi tutti nelle loro magliette “d’ordinanza”, pronti a gridare gli slogan al momento giusto (variazioni sul tema di “Trieste! Libera!”, “Libertà, libertà”, “TLT! TLT!”, con un attacco, abbastanza comprensibile, per il Piccolo, i cui articoli invece di informare, magari criticamente, i lettori sull’attività del MTL, sono piuttosto basati sullo sfottò gratuito), diretti da persone che sembravano responsabili della coreografia dei vari settori del corteo, con una banda ed un gruppo di percussioni a ritmare il passo; con un sistema organizzativo impressionante, i moltissimi striscioni tutti perfetti, serigrafati su plastica (del tutto diversi da quelli di stoffa dipinti a mano cui siamo abituati noi residuati della vecchia sinistra), un vero e proprio shopcenter tra bandiere, magliette e gadget di vario tipo, dagli adesivi ai megafonini personalizzati; ed infine il servizio d’ordine, dotato di radiotelefoni e perfettamente in grado di controllare una tale moltitudine di gente (e diciamo che visto il fisico dei personaggi che chiudevano il corteo, tutti in rigorosa maglietta nera, non ci piacerebbe incontrarli in un momento in cui non sono di buon umore), che ci dicono sia stato fornito dal promoter di arti marziali Alessandro Gotti, con un passato in autonomia operaia ed oggi (dopo una breve parentesi legata a questioni di cocaina) convinto sostenitore dell’indipendenza di Trieste.
Tutto questo richiede una regia: infatti una delle domande che si sentono in città è “ma chi gli sta dietro?”. “Nessuno”, rispondono loro, “siamo noi e basta, ci autofinanziamo”. Sì, per l’autofinanziamento ci possiamo forse anche stare, considerando (oltre agli introiti delle feste e la vendita dell’oggettistica) la proposta che troviamo nel loro sito (forse unica proposta di un certo spessore): Il Movimento Trieste Libera ha ritenuto opportuno creare al proprio interno un ramo dedicato appositamente all’imprenditoria, denominato Trieste Libera Impresa, allo scopo di consentire agli imprenditori associati di poter far valere i propri diritti di Imprenditori del Territorio Libero di Trieste, in virtù del diritto internazionale vigente. (…) Anche attraverso il tuo contributo economico, di idee, proposte ed operatività, è possibile fin d’ora garantire a te ed a quanti come te operino imprenditorialmente nella Zona A del Territorio Libero di Trieste il superamento di quell’illegittimità che perdura da quasi sessant’anni (…).
Quindi, se gli “imprenditori” triestini hanno ritenuto di aderire anche con il loro “contributo economico”, si può capire come il MTL si possa autofinanziare.
È rispetto alla regia tecnica di tutto l’apparato invece che ci domandiamo chi ci stia dietro: dove e come hanno imparato ad organizzare gli “eventi” in questo modo così raffinato, i sei “dirigenti” di cui abbiamo letto i nomi sopra? Oppure si sono rivolti a qualche organizzazione specializzata, così come hanno noleggiato un aereo per le riprese dall’alto del corteo?
Tornando alle persone che hanno aderito a questo movimento, ci si domanda se questa è un’evoluzione locale del grillismo, dove il “se ne vadano” non è riferito solo alla classe dirigente ma a tutto uno Stato, con i suoi amministratori ed esponenti politici, quindi una rampa in più sul livello dello scontro rispetto alle cose che accadono in Italia; e queste persone, che oggi scendono in piazza in massa, dov’erano finora, per chi hanno votato in precedenza, o forse non hanno votato proprio, e, soprattutto: per chi voterebbero domani?
Perché il MTL non ha ancora chiarito se ha intenzione di presentarsi alle elezioni o no (visto che non riconoscono le elezioni indette dall’Italia), ma nel caso in cui si presentassero per il Comune, ottenendo il governo della città, quali persone ci troveremmo come amministratori, considerando che, come si diceva prima, non hanno esponenti di spessore politico, culturale, amministrativo, ma sono (più che non i seguaci di Grillo) la gente della strada, che non si è mai interessata di politica e finora o ha delegato tutto oppure non è neppure andata a votare?
O forse al momento di andare al voto e di compilare le liste verrebbero finalmente fuori i nomi di chi sta organizzando tutto questo?
Ma c’è un altro punto strano in tutta questa vicenda, e riguarda l’avvocato che il MTL ha nominato come difensore nelle proprie cause contro la sovranità italiana sul TLT: Edoardo Longo di Pordenone, classe 1958, in attività dal 1984. La sua biografia (reperibile in rete oltre che nel suo sito personale anche in formato pdf qui) è oltremodo interessante, per cui ne stralciamo alcuni brani (gli errori di sintassi ed ortografia sono della fonte).
Difensore senza attenuazioni opportunistiche nei processi politici contro il dissidenti antimondialisti di destra, ha riversato la sua esperienza in materia in alcuni libri e in moltissimi articoli contro le aberrazioni del sistema giudiziario al servizio delle lobbies plutocratiche internazionali. (…) Dalla metà degli anni ‘8O svolge una intensa attività di ricerca culturale e pubblicistica, dapprima in ambito culturale tradizionale (con nette influenze del pensiero di Julius Evola e Domenico Rudatis di cui era amico personale), poi in ambito più marcatamente politico. (…)
Anche la sua attività pubblicistica, molto vasta, merita di essere conosciuta. Ne citiamo le opere più significative.
Nel 1996 per il tipi de il Ventaglio di Roma ha pubblicato Il Fuoco e le Vette. Lungo i sentieri dell’arcaica Tradizione Ariana, un’antologia che raccoglie quasi tutti gli scritti di Edoardo Longo sulla metafisica delle vette (ora esaurita).
Nel 1989 ha scritto un lungo saggio (ora ristampato ne Il Coltello di Shylock) sui rapporti fra Giudaismo e Massoneria in appendice al volume edito da Ar di Malynski, La Guerra Occulta.
Il “giudaismo” sembra essere un chiodo fisso delle problematiche longhiane:
Il Coltello di Shylock. Storie di ordinaria repressione giudaica, edito nel 2002 dalla editrice triestina la Rocca d’Europa è l’ultimo (al momento) testo pubblicato.
E di questo “saggio” (?) ecco la squisita presentazione fatta da Avanguardia (rivista siciliana appartenente alla categoria dei cosiddetti rossobruni) nel n. 198 (luglio 2002):
Una rasoiata in faccia all’ebraismo internazionale, una testa di porco lanciata in sinagoga, ottantotto punti di sutura sulla piaga sionista: questo è il coltello di Shylock.
Proseguendo nella biografia autorizzata del Nostro leggiamo anche:
Molte note sulle vicende politico-giudiziarie dell’avv. Longo possono essere lette nelle note e commenti al libro Contra Judaeos di Telesio Interlandi che Edoardo Longo ha reso pubblico per la prima volta dal dopoguerra.
Interlandi, per chi non lo sapesse, era uno dei teorici della Difesa della razza, e così Longo ha spiegato (molto aulicamente, va detto) il motivo della sua riscoperta di questo fascista razzista:
Quando lessi un anno fa, per caso, che il libro di Telesio Interlandi contra Judaeos dopo la guerra era stato gettato al macero e mai più ristampato perché giudicato il testo più biecamente antisemita pubblicato in Italia durante il ‘bieco ventennio fascista’, decisi che ne avrei trovato una copia superstite e lo avrei fatto ristampare. A costo di farlo a mie spese, vista la penuria di editori coraggiosi esistenti in Italia.
Ecco, ai lettori del web, il libro.
Ho mantenuto la promessa.
Il testo che segue è stato reperito fortunosamente in una sperduta biblioteca di provincia, mentre ammuffiva in uno scantinato. Grazie a un determinato e valido camerata, l’amico Giampaolo Speranza che qui ringrazio, lo abbiamo fotocopiato e digitato nella presente versione elettronica, affinché giri libero e veloce sulle imprendibili rotte del web, lontano dall’Occhio Malefico della giudaica Polizia del Pensiero che sorveglia le case editrice.
Vola, piccolo libretto mordace, vola libero come un vascello pirata, lungo le sterminate rotte della comunicazione del futuro, ancora non imbrigliata dalle catene della ‘democrazia’…
Per non tediarvi ulteriormente, vi segnaliamo ancora solo un’ultima collaborazione:
Nel 1999 ha pubblicato una lunga introduzione dal titolo La Runa del Lupo al volume La rivoluzione è come il vento di Marcello de Angelis, Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi (ed. Sentinella d’Italia, Monfalcone, 1999).
I tre autori hanno un comune passato in Terza Posizione: de Angelis, oggi giornalista di Area, è stato il cantante del gruppo non conforme “270 bis” (che è l’articolo del Codice Penale sull’associazione sovversiva), di cui rammentiamo la canzone Cuore nero con un testo da apologia di reato (E io ho il cuore nero/e tanta gente/mi vorrebbe al cimitero./Ma io ho il cuore nero/e me ne frego e sputo/in faccia al mondo intero…/Il braccio che si stende calando giù la sbarra/lo schianto delle ossa, lo stridere dei denti/lo sguardo inorridito di mille benpensanti:/ci vuole così poco per essere contenti); Fiore, dopo avere latitato per anni in Gran Bretagna finché non è andata in prescrizione la sua condanna per associazione sovversiva è oggi leader carismatico di Forza Nuova; Adinolfi, dopo le sue vicissitudini legali (nella biografia del suo sito si legge che fu “condannato per reati associativi sia nell’ambito di Terza Posizione che in quello dei Nar – a causa della sua latitanza operativa in Italia, dove è rientrato clandestinamente nel 1982”) collabora oggi con CasaPound e con varie testate comunitariste (i rossobruni) ed ha fondato il Centro Studi Polaris che si occupa di mondialismo e di problemi economici.
Il motivo per cui un movimento, che si dichiara “né di destra né di sinistra” si sia scelto un avvocato dalle chiare posizioni filo nazifasciste e razziste, si può spiegare (forse) solo valutando il fatto che le pur vaghe teorie economiche di Trieste Libera (ma più che di essa, dell’altra associazione indipendentista, il Comitato Porto Libero, che ha negli anni passati organizzato alcune iniziative su questi argomenti) sono simili a quelle esposte da un filone di pensatori della destra antimondialista, Giacinto Auriti in primis (l’ex missino che collaborò con Beppe Grillo nella stesura di Apocalisse morbida nell’ormai lontano 1998), il teorico del signoraggio e della local money, temi purtroppo oggi condivisi in parte anche da chi non fa diretto riferimento alla nuova (per modo di dire…) destra, ma appunto dichiara di voler superare la dicotomia “destra-sinistra” in funzione anticapitalista.
Proprio sulla questione del “signoraggio” e delle “potenzialità del sistema monetario del Territorio Libero di Trieste” il Comitato Porto Libero ha organizzato una conferenza dal titolo “Il Territorio Libero avrà un proprio sistema monetario”, il 2/12/11 con relatore il dottor (è un dentista, in effetti) Antonio Miclavec che ha scritto, assieme a Marco della Luna il libro €SCHIAVI, pubblicato da una casa editrice rosso bruna, l’Arianna editrice; e che si è presentato come candidato sindaco di Udine alle ultime elezioni amministrative, nella lista di Forza Nuova.
Tornando al ruolo dell’avvocato Longo, se può sembrare oscuro che un legale di così chiara fede patriottica difenda il diritto di alcuni cittadini italiani a voler staccare un pezzo di territorio dallo Stato italiano, proviamo a fare mente locale sul fatto che il nazismo, a differenza del fascismo, non aveva alcun interesse a che Trieste rimanesse italiana, anzi l’aveva accorpata a sé dopo l’8 settembre 1943, ed il progetto dei gerarchi locali (austriaci, si badi bene) per la città, una volta convintisi dell’ineluttabilità della sconfitta del Terzo Reich, era la costituzione di una sorta di protettorato austriaco sul territorio triestino, con l’accordo degli Angloamericani, in modo da riacquisire il controllo del porto perduto dopo la sconfitta della Prima guerra mondiale.
In conclusione un ultimo interrogativo. Abbiamo visto 5.000 persone marciare convinte che l’indipendenza del Territorio Libero di Trieste è una cosa che verrà realizzata a breve. Ma se ciò non dovesse accadere (come probabile che sia), come reagiranno queste persone, di fronte alla prospettiva che le tasse che non hanno pagato verranno loro riscosse coattivamente, che dovranno rifondere le spese di giudizio, o, semplicemente, per coloro che si sono limitati ad aderire al Movimento senza fare disobbedienza civile, che il progetto in cui si sono sentiti coinvolti ed in cui hanno riposto fiducia si è rivelato una bolla di sapone? Perché non è facile, dopo avere convinto migliaia di persone che un cambiamento radicale di questo tipo era cosa fatta, dover ammettere di avere sbagliato tutto e ritornare nei ranghi.
A tutte queste domande probabilmente troveremo delle risposte “solo vivendo”, come cantava Battisti, sperando però che nel frattempo nessuno si faccia male.