di Luis Britto García
[In Italia, la disinformazione sul Venezuela è guidata da La Repubblica. Di recente, il corrispondente del quotidiano da quel paese, Omero Ciai, ha scritto due articoli che sfiorano il ridicolo. In uno accusa Hugo Chávez di avere accumulato smodate ricchezze personali, tanto è vero che si sposta su auto costose (i presidenti europei, è noto, si muovono in Lambretta), esibisce orologi Rolex e porta al collo catene d’oro. A queste cazzate ha risposto con la consueta ironia lo stesso Chávez, in un video visibile qui. In un secondo articolo più recente, Ciai ha accusato Chávez di tendere alla dittatura perché, nella modifica della costituzione venezuelana attualmente in discussione, si prevede la possibilità di una rielezione del presidente della repubblica. Ciai pare ignorare che parecchie costituzioni occidentali prevedono la stessa possibilità. Se fosse coerente, dovrebbe considerare dittatori Franklyn D. Roosvelt o Charles De Gaulle, titolari di numerosi mandati successivi.
Si tratta di libere elezioni, non di investiture da parte di Dio. Però va detto che il tema di fondo di Omero Ciai è tutt’altro. Insiste sul fatto che Chávez agevola in ogni modo le classi meno abbienti, incentivandole al vagabondaggio attraverso servizi gratuiti. Simili posizioni un tempo erano tipiche di Reagan e della Thatcher. Oggi sono fatte proprie da La Repubblica, quotidiano “di sinistra”. Se sia un progresso o una vergogna, una modernizzazione o una resa vigliacca al neoliberismo, lo decideranno i nostri quattro lettori.
Se in Italia si cerca poco di capire il Venezuela, pare che il Venezuela si interessi alla storia di alcuni italiani. A metà luglio c’è stato un convegno su Bolivar, Garibaldi e Gramsci a Caracas. Angelo D’Orsi, che era tra i relatori, ha riferito su La Stampa che “l’eroe dei due mondi” sarebbe popolarissimo in Venezuela, insinuando anzi il sospetto che le camicie rosse degli chavisti derivino da quelle dei garibaldini. Non lo sappiamo. Ci limitiamo a presentare, tratto da www.resistenze.org, l’intervento d’apertura del convegno, di Luis Britto García.] (V.E.]
Le gesta che maggiormente hanno ispirato i rivoluzionari italiani e latinoamericani sono di Simón Bolívar e Giuseppe Garibaldi. Ambedue intraprendono lotte d’emancipazione politica per spezzare i legami che sottomettono i loro paesi a sovranità straniere. Entrambi si sollevano per unificare popoli liberati. Entrambi promuovono idee repubblicane, democratiche e di secolarizzazione dello stato. Tentano di realizzare riforme sociali ed economiche. Entrambi subiscono un triste destino: culminata la fase militare, forze oscure fanno fallire il loro progetto politico e sociale. Voltaire disse che i profeti armati sconfiggono sempre quelli disarmati. Due profeti invincibili sembrano annichiliti da forze senza volto né armi. Invochiamo il profeta disarmato Antonio Gramsci per identificarle.
Approfondiamo innanzi tutto le relazioni tra lotte d’emancipazione e rivoluzioni. La mentalità neocoloniale squalifica il patriottismo e taccia di delitto l’aspirazione dei popoli dipendenti a non essere governati da stranieri, mentre al contempo, con poteri imperiali, si affanna a custodire intatte, indissolubili ed inviolabili, le fedeltà politiche, giuridiche ed ideologiche. Questo dopo la globalizzazione del capitale e la transnazionalizzazione della cittadinanza. Però una cosa è certa: le guerre d’emancipazione politica e di liberazione nazionale sono episodi della lotta tra classi. In essa, una classe dominante chiama in suo aiuto le classi dominate per sconfiggere un’altra classe dominante, come accadde con i bianchi creoli in America. Oppure una classe dominata annienta quasi del tutto la dominante, come fecero gli schiavi verso i loro padroni ad Haiti, i contadini asiatici con giapponesi e colonialisti europei nella Rivoluzione cinese, e i contadini antillani in quella cubana. L’emancipazione si trasforma in rivoluzione quando si strappa alla classe dominante il dominio sugli sfruttati, il suo esercito ed il suo apparato ideologico.
Così, Bolivar raggiunge l’apice della campagna d’emancipazione politica, iniziata dall’oligarchia locale dei bianchi creoli contro i peninsulari, ma questa si decide solo quando gli indipendentisti ottengono l’aiuto di indigeni, schiavi, mulatti e bianchi della costa. Per creare un nuovo esercito, Bolivar offre la libertà agli schiavi che si arruolano, distribuisce la terra ai miliziani, libera dalla servitù gli indigeni. Vale a dire, tutto il processo di emancipazione politica marcia allo stesso passo del suo progetto di emancipazione sociale. L’indipendenza non solo scioglie i legami con la monarchia spagnola, ma la esclude da ogni posterità in America imponendo istituzioni repubblicane che costituiscono una rivoluzione politica equivalente a quella francese. Il progetto di emancipazione non può unire tuttavia grandi blocchi geopolitici per controbilanciare l’influenza statunitense ed europea. Il Congresso di Panama fallì nel tentativo di consolidare una federazione americana con eserciti a direzione comune.
Altrettanto grande e tragica è l’impresa di Giuseppe Garibaldi. Ha per scenario due mondi, nei quali riunisce eserciti non convenzionali per ottenere brillanti trionfi militari. Come Bolivar, assume l’emancipazione politica come base per un progetto di integrazione, in questo caso quello dell’unità italiana. Ingaggia una guerra di emancipazione per l’Uruguay e tre per l’Italia. Si batte anche per un ammodernamento delle strutture: uguaglianza giuridica garantita da governi laici, repubblicani e democratici, e da riforme economiche e sociali. Dopo lo sbarco del Mille a Marsala, promette una riforma dei latifondi, l’eliminazione di tributi e decime sulla terra. Queste promesse attraggono nelle sue fila legioni di contadini che invadono anche i feudi dei baroni latifondisti e le terre comunali.
Questi piani rimangono frustrati dinanzi al timore di una spedizione di Napoleone III e di una guerra contadina che avrebbero potuto infiacchire lo sviluppo industriale del nord. Garibaldi si vede costretto ad accettare la monarchia di Vittorio Emanuele e le concessioni di Cavour, per non ostacolare l’agognata unità italiana. Davanti alla frustrazione dei suoi progetti repubblicani, Garibaldi rinuncia al Parlamento italiano nel 1870, e muore in una specie di esilio interno nell’isola di Caprera nel 1882.
Gramsci indica come la riluttanza del partito d’Azione ad appoggiare la riforma agraria e a convocare una costituente, ritardò l’emancipazione e l’unità italiane. Come accadde per l’emancipazione venezuelana, quasi non cambiarono le forze produttive, né i rapporti di produzione. In entrambi i casi furono appena percettibili cambiamenti degli apparati ideologici di religione, educazione e mezzi di comunicazione. In ambedue perdurò quasi inalterato lo stesso blocco egemonico. In entrambi, gli impegni non portati a termine suscitarono sanguinosi conflitti. Oggi la rivoluzione nei paesi egemonici sembra ristagnante. In quelli dipendenti, coincidono lotte di emancipazione politica, mobilitazioni sociali, prese di controllo delle forze produttive e rinnovamenti della lealtà degli eserciti. Come non c’è emancipazione senza programma sociale ed economico, il programma economico e sociale può trasformare l’emancipazione in rivoluzione. Bolivar, Garibaldi e Gramsci hanno ancora molto da realizzare nel mondo. Armi liberatrici e grandi idee capaci di conquistare le strutture produttive e le sovrastrutture ideologiche sono le nostre prime necessità.
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare