Un libro che è una lacerante richiesta di ascolto. Una ricerca, partita una decina di anni fa con il rinvenimento nell’Archivio di Stato di Udine di una trentina di sconvolgenti lettere di internati del campo di concentramento di Gonars, in provincia di Udine. In tempi di revisionismo facilone e, per questo motivo, ancora più drammatico, questo saggio si propone di contribuire, attraverso l’approfondimento della storia specifica di questo campo detentivo, a diffondere la conoscenza dei crimini di guerra fascisti nella seconda guerra mondiale. E’ una vicenda tremenda quella che si è svolta a Gonars nel 1942-43, con l’internamento da parte del regime fascista e dell’esercito italiano di molte migliaia di sloveni e croati, uomini, donne, vecchi, bambini e la morte di 500 di essi fra sofferenze inenarrabili. Queste persone provenivano per il 90% dal Gorski Kotar, la regione montuosa a nord-est di Fiume, che subì un vero e proprio martirio da parte dell’esercito italiano.
La ricerca, partita dall’Archivio di Stato di Udine, è continuata poi in vari altri archivi, fra cui l’Archivio Centrale dello Stato, quello dello Stato Maggiore dell’Esercito e l’Archivio di Stato di Lubiana, nei quali si trovano i principali documenti dell’occupazione della Jugoslavia da parte dell’esercito italiano e le direttive di repressione e internamento della popolazione. Si è avvalsa inoltre di testimonianze orali e memorie scritte di ex internati, ex soldati del contingente di guardia e gente di Gonars. Da tutti questi documenti emerge il progetto di pulizia etnica dei territori annessi che le autorità italiane di occupazione avevano tentato, di cui i numerosi campi di concentramento sparsi per la penisola furono uno degli strumenti. Il campo di Gonars fu, insieme a quello di Arbe (isola di Rab, oggi in Croazia, in cui in un anno si ebbero almeno 1500 decessi), il campo fascista in cui si ebbero le peggiori condizioni di vita.
“Il campo di concentramento di Gonars, in provincia di Udine, quindi vicinissimo alle zone slovene e alle zone in cui era già iniziata la guerra di liberazione, fu uno dei luoghi in cui si svolse la grande tragedia di questi deportati. Venne istituito già nel dicembre del 1941, costituito da tre settori, circondato da filo spinato, controllato dai carabinieri e da circa 600 soldati con 36 ufficiali. Ai lati nord e sud del vasto spazio recintato da due torri alte sei metri, armate con mitragliatrici puntate verso il campo, con riflettori che di notte illuminavano a intervalli di pochi minuti il campo e il circondario. Tutto intorno una ‘cintura’ larga due metri, in cui le sentinelle avevano l’ordine di sparare senza preavviso a tutti quelli che la oltrepassavano.
All’arrivo i nuovi internati venivano denudati, ‘disinfestati’, rapati a zero. Ma nonostante la pulizia quotidiana delle baracche tenuta dagli stessi internati, i parassiti si moltiplicavano. Essi si diffondevano in prevalenza addosso agli internati che, a causa dell’indebolimento fisico, giacevano sempre a letto e si lasciavano andare all’apatia.
Il 25 febbraio 1943 ci sono a Gonars 5.343 internati di cui 1.643 bambini. Ci sono intere famiglie provenienti da Lubiana o dai campi di Arbe (Rab) o di Monigo (Treviso); due terzi croati e un terzo sloveni. Baracche strette e lunghe, da 80 a 130 prigionieri per baracca; baracche praticamente senza riscaldamento o con stufe mal funzionanti, ma molti (specialmente uomini adulti) dormivano in tenda; igiene impossibile per mancanza di tutto; pidocchi, scabbia erpete e altre malattie contagiose; per quanto riguarda le donne incinte, l’80% dei nati erano morti. Mangiare del tutto insufficiente, minestrone mezzogiorno e sera, praticamente acqua, + 200g di pane. “La gente è affamata. Ma forse è meglio dire che muore di fame”, scriveva il salesiano padre Tomec, come risulta da una sua lettera in data 6 febbraio 1943. “Queste famiglie non hanno nessuno che possa mandargli i pacchi, perché le loro case sono state bruciate e i parenti sparpagliati. (…) Una grande maggioranza di internati è venuta da Arbe (Rab) e sono giunti già esausti, simili a scheletri. (…) Dal 15 dicembre 1942 al 15 gennaio 1943 ne sono morti 161. In media muoiono 5 persone al giorno. (…) Il maggiore medico Betti mi ha detto che in due mesi il 60% di questa gente morirà, se prima non vengono liberati. (…) Una scena triste viene offerta dalla baracca nella quale ci sono soltanto bambini orfani che hanno perso i genitori ad Arbe o a Gonars”. “Dio ci guardi da qualche epidemia nel campo. Le persone cadrebbero una dopo l’altra come mosche.” Così scriveva ancora padre Tomec. E di una epidemia, si ha proprio notizia dai documenti della censura che si trovano nell’Archivio di Stato di Udine (fascicolo Prefettura). Infatti se in febbraio i problemi erano soprattutto la fame e il freddo, si ebbe anche un’epidemia di tifo petecchiale, non sappiamo con quali esiti. Di un’altra, nel giugno del ’43, si sa anche per il campo di internamento di Visco (a 3 chilometri da Palmanova, a 10 dall’altro campo, quello di Gonars). C’erano in questo campo 4000 persone, che in maggio, come risulta sempre da questi documenti della Censura, erano stati picchiati dai carabinieri con ‘botte da orbi’ perché ‘quando hanno saputo che abbiamo perso la Tunisia, si sono messi tutti a gridare Viva la Russia!‘. Mentre sul campo di concentramento di Gonars ci sono stati degli studi che, seppur conosciuti solo localmente, hanno messo in luce questa tragedia, del campo di concentramento di Visco si sa poco e niente, ma la grande tragedia che vi si svolse emerge dai documenti che affiorano oggi dall’Archivio di Stato di Udine. Nel monumento ossario del cimitero di Gonars sono sepolti 453 corpi. I prigionieri vengono liberati nel settembre del ’43”.
Alessandra Kersevan è stata insegnante di materie letterarie. Da parecchi anni si dedica allo studio della storia e della cultura della sua regione, collaborando anche, nel campo della didattica delle lingue minoritarie, con l’Università di Udine. Nel campo della ricerca storica nel 1992 è stata coautrice con Pierluigi Visintin di Giuseppe Nogara, luci e ombre di un arcivescovo 1928-1945. Nel 1995, sempre per le edizioni Kappa Vu, ha pubblicato Porzûs. Dialoghi sopra un processo da rifare, un corposo studio su una delle vicende più controverse della Resistenza Italiana.
Alessandra Kersevan – Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943 – Kappa Vu Edizioni (Udine)